INDIAN TRAIL 34/a: Goa

 INDIAN TRAIL 34/a: Goa.

Se esiste un paradiso su questa terra, un luogo benedetto da una quieta bellezza dove nessuno ti disturba e dove il silenzio è incorniciato dalla brezza fra le foglie e dal mormorio del mare, è Goa.
Cammino sulla spiaggia per un'oretta, voglio allontanarmi dai luoghi delle spiagge più note, Anjuna e Calangute, dove troppi turisti si sono insediati negli ultimi anni. Vado un po' a sud, verso l'immensa spiaggia di Colva, dove non c'è nessuno. L’oceano, la sabbia, le palme. Vedo un sentierino che si addentra fra le palme da cocco.
Il villaggetto è minuscolo, una decina di case-capanne immerse in un bosco di palme lunghe lunghe su cui si arrampica destramente un tipo magrissimo, approfittando di piccole intaccature sul tronco. Ogni tanto si ferma per chiacchierare con qualcuno che passa sulla stradina in basso, poi riprende a salire con leggerezza felina. Dal fianco gli pende una grossa zucca legata con fibre di cocco. Arrivato in cima, saranno venticinque metri di esile aereo sentiero, si allunga verso una zucchetta che sta lì appesa a raccogliere la dolce essenza della palma e ne travasa il liquido nella sua zuccona. Tutto il procedimento avviene grazie alle ginocchia prensili con cui rimane attaccato al tronco, mentre le braccia operano abilmente fra le fronde. Di sotto sta passando la portatrice d'acqua, ci vuole una chiacchieratina. L'acquaiola non fa che portare acqua dal pozzo alla capanna dove abito io, praticamente tutto il giorno. Mi passa davanti decine di volte, e se solo parlassi la lingua sarebbero chiacchieratine senza fine. Fan tutti così, come le formiche che si salutano tutte ogni volta che si incontrano, buongiorno, buongiorno a te. A ribuongiorno, a ribuongiorno a te. Io me ne sto seduto sotto un portico fuori dalla mia stanzetta, sono felice perché Pablo, il padrone di casa, mi ha appena consegnato un fornelletto a spirito su cui fare il tè, e due candele. Non c'è un letto, dormo sul tavolaccio del pavimento, ma sto per l'appunto cucendomi un'amaca con la tela con cui avevo fabbricato un borsone a Calcutta. Mi serve un'amaca perché voglio dormire all'aperto, sia pure sotto il portico, e di notte circola ogni specie d'animale, soprattutto maiali piccoli e bruni che mordono e mangiano qualunque cosa: dunque è meglio stare sospesi a una certa altezza e osservare la vita notturna con un certo distacco. La stanza, priva di letto e di qualsiasi altra comodità, costa pochissimo; Pablo è molto gentile, gli affido un pacchetto con passaporto e un po' di soldi per non dovermeli portare sempre appresso. La portatrice d'acqua ha l'incarico di rifornire la brocca che costituisce l'arredamento della stanza. La brezza mormora fra le palme, le stelle danzano fra le foglie ondeggianti e la mia amaca funziona proprio bene, anche se non c'è posto per la candela: non importa, risolverò domani. Per questa notte leggerò le stelle.
Sulla spiaggia infinita di Goa si può camminare per sempre, mentre le palme da cocco danzano leggere e l'oceano accarezza dolcemente la sabbia dorata, con quelle ultime delicate propaggini di onde che, appena più al largo, spumeggiano allegre.
Passeggiando così, senza pensieri e senza meta, mi capita di osservare che il bagnasciuga, cioè quella fascia di tre o quattro metri che viene costantemente spazzata dalle ondicelle ogni pochi secondi, è tutt'altro che disabitato e inerte. Anzi, a ben guardare, proprio il bagnasciuga è teatro di un'attività frenetica che ha come protagonisti dei piccoli granchiolini bianchi le cui dimensioni, zampe e chele comprese, vanno dai due ai quattro centimetri. Costoro sono impegnati senza sosta a interagire con i loro simili, a fare all'amore, a contendersi pezzettini di pesce, a litigarsi una conchiglietta, a conversare animatamente, a combattere fino a perdere una gamba… La cosa che salta agli occhi è l'impegno totale e assoluto che mettono nel fare ciò che stanno facendo, e quanto si prendono sul serio. Queste scenette avvengono a una distanza di venti o trenta centimetri una dall'altra, e sono dunque innumerevoli, con la costante della dedizione assoluta dei granchiolini.
Ogni otto, dieci secondi ecco arrivare lemme lemme l'ondicella che, per quanto sia gentile, ha forza sufficiente a trascinare ogni singolo granchietto lontano dal suo compito, a dirimere ogni questione, ad azzerare vantaggi e fortune. Non importa se un granchietto più grosso era lì lì per impadronirsi del bocconcino altrui… l'ondicella riequilibra ogni evento, allontana il pranzo dal piatto, il piatto dalla tavola, la tavola dalla stanza… Tutto ricomincia in un punto diverso, un po' più in là, con lo stesso vigore e impegno, ma con personaggi diversi: granchiolini che magari non si conoscevano si azzuffano all'istante, mangiano, cercano, fanno all'amore, si strappano pezzetti… Per otto, dieci secondi. Poi arriva l'ondicella, e tutto ricomincia, per sempre. Certo, dà da pensare. Si potrebbe essere indotti a intravvedere una metafora del comportamento umano…
Verso sera, quando il sole scende all’orizzonte e le poche nuvole si tingono di rosso e arancione, si sente un grido provenire dalla cima di una delle altissime palme da cocco affacciate sul mare, un avvertimento che allerta il villaggio svegliandolo come per incanto dallo stato di torpida quiete abituale. Tutti quanti, bimbi e cani compresi, si affrettano sul sentiero che allontanandosi dalle capanne attraversa la zona degli orti, dove altra gente lascia le zappe e si accoda al gruppo in rapido movimento. Solo il raccoglitore di succo di palma e i maiali rimangono a guardia delle case. Passiamo davanti alla baracchetta che quotidianamente mi offre un rustico ristoro - uova e pomodori - e siamo sulla spiaggia dorata. Dal mare, ancora lontane, due grandi barche si stanno pian piano avvicinando a riva. Due ragazzotti, ciascuno per conto suo, mettono in acqua una tavola di legno bello spesso, vi montano sopra e si allontanano pagaiando verso le barche come se camminassero sull'acqua.
Raggiunte le barche che sono distanti fra loro un centinaio di metri si legano delle corde alla vita e si tuffano per tornare a nuoto verso riva. Tutti i presenti, io compreso, si dividono in due gruppi e quando i nuotatori arrivano, ognuno di noi afferra un tratto di corda e comincia a tirare: le barche lentamente si avvicinano mentre tutti tirano più che possono. Adesso che sono più vicine sembrano parecchio più grandi di prima, queste barche: si sono riavvicinate e adesso sono legate fra loro, a circa cinquanta metri di distanza, e insieme trascinano una rete che sta intrappolando una gran quantità di pesci. Via via che il fondale si alza si cominciano a vedere pesci di tutte le razze che guizzano e saltano fuori dall'acqua, preoccupati del loro destino. La rete pesa sempre di più, molti marinai saltano dalle barche e vengono sulla riva a tirare anche loro. Migliaia di pesci sono ormai sulla spiaggia, grandi e piccoli, saltellano e rimbalzano scintillando al sole del tramonto. Tutti sono indaffarati a sortire le diverse razze, quelli piccoli in cassette, quelli grandi in cestoni pieni di foglie, molti vengono ributtati in mare. Si torna al villaggio: siccome ho aiutato, mi viene consegnato un pescione semivivo di cui non so che fare. Alcune donne rimangono sulla spiaggia a spigolare fra quello che è rimasto. Cominciano a uscire i granchi, che durante la notte faranno piazza pulita.
Stasera, da Pedro, zuppa di pesce.
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