Quando si è leggenda: Timberwolf Shaka.

 Quando si è leggenda: Timberwolf Shaka.

Lupo dei boschi Shaka era un animale leggendario. Prima di incontrarlo, ne avevo sentito parlare in lungo e in largo come di un essere magico e possente, e sembrava che il suo campo energetico lo precedesse nell’invisibile, preparando il terreno prima della sua comparsa. Il fatto di stare sempre con i suoi due comandanti umani Phil e Grace in un ranch in Arizona doveva avergli conferito parte di quella autorevolezza che manifestava poi in pieno con la sua presenza.
Nel ranch di Phil e Grace c’erano tre o quattro branchi di lupi divisi nei loro vasti recinti, branco separato da branco, ogni branco organizzato come fanno i lupi: capo lupo, o lupa, e via via tutta la gerarchia. Phil era il capo dei capi, oltre che condirettore della fondazione che si occupava del recupero di lupi feriti, e ogni tanto era suo compito entrare nei recinti, e vedersela con il capobranco locale. Era l’unico modo per conservare intatta l’autorevolezza che gli permetteva di mantenere l’ordine fra i branchi. Entrava disarmato perché la lotta corpo a corpo andava vinta senza trucchi se si voleva ottenere rispetto. Phil portava diverse cicatrici, a memoria delle sue imprese, ma era ancora il capo.
Shaka in origine era un lupetto trovatello e orfano che in qualche modo era giunto al ranch dove fu adottato e allevato come uno di famiglia. Da grande, divenne un guardiano eccezionale assolutamente mansueto se non provocato, e non c’era modo di separarlo da Grace o da Phil. Uno dei due doveva essere sempre con lui, o lui li avrebbe cercati e trovati ovunque fossero: un lupo non abbandona il suo branco.
Sofia e io siamo a Rose Island, sulle montagne nel nord della California, dove siamo impegnati nello studio della filosofia nativo-americana e anche nella costruzione di una casa di presse di paglia, da aggiungersi alle altre case e casette disseminate nel ranch di proprietà della piccola tribù.
A tavola un bel giorno viene annunciata l’imminente visita di Phil e Grace e del loro leggendario lupo. I tre stanno per arrivare circondati da un alone di mistero, e Shaka ci viene descritto come un essere magico sì, e tanto per bene, ma con qualche dettaglio caratteriale di cui sarà bene tener conto. Nei momenti di convivio abbiamo già sentito racconti con Shaka protagonista, aneddoti sufficienti a stabilire per lui un posto nel mito. Sappiamo che non bisogna guardarlo negli occhi. Siamo avvertiti del fatto che non si possono indossare occhiali da sole perché impediscono alla belva di vedere la tua espressione e dove stai guardando. Ovviamente non è il caso di litigare con Phil, il suo alfa, cioè capo, e con Grace, che considera sua sorella. Forse ci sono altre procedure lupesche da considerare, ma già queste sono sufficienti a far serpeggiare una certa preoccupazione che cresce con il crescere dell’attesa.
Quando il trailer degli ospiti in arrivo imbocca l’ultima curva prima delle case, tutti noi che siamo lì in fremente attesa ad occhi spalancati veniamo invitati a levarci dai piedi e a sparire dalla vista, onde non imbarazzare il lupo. Ognuno dovrà conservare la propria curiosità per il momento in cui sarà stato invitato alla presenza del nuovo ospite.
Viene il nostro momento, e Sofia e io ci avviamo con fare indifferente lungo il sentierino che porta al camper di Phil, dove lui e Shaka si sono piazzati, vicino a Tree Frog, la Rana arborea, dove ci sono la cucina e la dining-room.
Eccoci in vista del camper: Shaka si alza, è enorme, grigio argento, e ci viene incontro lungo lo stesso sentierino. Non posso fare a meno di ammirarlo, ha delle spalle possenti che avanzano sorrette da zampe grosse come le mie cosce, con vampate bianche che raggiungono i piedi. La testa è molto, molto grande, e per quanto io mi sforzi di guardare altrove, di distrarre lo sguardo per non offendere la sua suscettibilità, ogni tanto devo osservarlo per forza, calamitato dalla sua presenza. Shaka si avvicina fino a sfiorarci, e senza tante cerimonie si fa largo con la testa fra la gamba mia e quella di Sofia, e lì si ferma in meditazione. È un piacevole e conturbante contatto, mi sento onorato dal gesto di palese simpatia, spero che perciò mi risparmierà la gamba. Oso allungare una mano, perché no, se lo fa lui… gli solletico un attimo il pelo sulla vasta testa. La testa di Shaka è appena più bassa della mia anca, è larga almeno trenta centimetri ed è ricoperta di un delicatissimo pelo argenteo con brevi striature candide. Appena sotto la pelle posso sentire il cranio roccioso. L’intima vicinanza del lupo mi induce a ricordare qualche particolare che lo riguarda, come ad esempio il fatto che la mascella di un timber wolf, o lupo dei boschi, è l’unica che possa rompere qualsiasi osso esistente sul continente nordamericano, femore di alce compreso. Il femore dell’alce è più grosso del mio polpaccio. Voglio essere amico di Shaka. Gli accarezzo la guancia con la coscia, e intanto lo sbircio di soppiatto approfittando del fatto che lui non sta guardando. Il garrese è alto almeno ottanta centimetri, e credo che l’amico pesi oltre settanta chili. È uno splendido animale, se ne sente la forza contenuta, come se fosse costantemente pronto a esplodere pur essendo troppo saggio per farlo.
Dopo qualche minuto Shaka decide che siamo brave persone, e spostando l’altrimenti insormontabile testa ci permette di entrare nel suo territorio, e ci fa passare per salutare Phil. Con Phil scambiamo qualche breve frase, poi lui si risiede, allunga una mano e lancia verso il lupo una stecca di costole di vacca, stecca che Shaka prende al volo e stritola con rumori selvaggi. Sofia e io ce ne andiamo educatamente prima che gli venga in mente il dessert.
Ci fu una volta, dice la leggenda, che un comune amico scrittore, un indiano Cheyenne di nome River, seduto su un divano in una libreria aspettava il pubblico, dietro un tavolo basso e largo e coperto da un drappo fino a terra, pieno di libri che attendevano di esser firmati dall’autore. La serata era organizzata dall’editore. Era ancora presto, la gente sarebbe arrivata fra una mezz’oretta. Entrano Grace, Phil e Shaka. Il mio amico Cheyenne, seduto in fondo alla sala è esterrefatto. Conosceva Phil, ma era la prima volta che vedeva Shaka, il grande lupo.
Tutti si stringono la mano, tranne Shaka. Con una breve strusciata contro la gamba dell’indiano il lupo si infila sotto il tavolo e il drappo si chiude dietro di lui. Comincia ad arrivare la gente, una piccola folla che piano piano prende posto sulle seggiole o lungo i muri per essere più vicino allo Cheyenne. L’amico scrittore comincia a parlare, è un vero incantatore, la gente è ipnotizzata e pende dalle sue labbra. Ispirato parla della Terra, delle piante, degli animali, dei lupi nella riserva del Montana dove è nato. È un tipo pieno di humor, a una sua battuta tutti ridono, e lui nell’entusiasmo batte con gran fracasso la mano aperta sul tavolo. Si alza il drappo e Shaka, il lupo dei Boschi, balza fuori e affronta, immenso, immobile e irsuto la folla. Paralisi totale e generale. La gente non ha mai visto un colpo di magia così potente ed efficace. Ecco come si creano le leggende.
May be a close-up of outdoors
Lucia Ferina
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