INDIAN TRAIL 29/a: Ritorno a Kathmandu.
INDIAN TRAIL 29/a: Ritorno a Kathmandu.
Ci vuole un bel po' di tempo, fra camminate e corriere spericolate, per ritornare dalle porte del Mustang a Kathmandu. dove arrivo giusto in tempo per l'infornata di pane e schiacciate di Happy Brunette. Nel frattempo Brian ha deciso di fermarsi a Pokhara, nella guest-house in riva al lago a deliziarsi di un paesaggio fantastico e io viaggio da solo.
Arrivo a Kathmandu giusto in tempo per l'infornata di pane e schiacciate di Happy Brunette.
Nel suo cortiletto c'è la fila di clienti, una specie di party di cui Happy è l'anima: la barba scura e baffi folti incorniciano i suoi occhi saettanti, attenti, dolci e carezzevoli. Sta per raccontare una storia, una delle tante avventure che ha vissuto da mercante audace e pieno di risorse qual è. Gli avventori ascoltano rapiti, consapevoli d'essere in presenza di un'istituzione, qualcuno cioè che è in zona da un sacco di tempo e ha saputo sopravvivere fra mille avversità.
Happy si accende un bidi, si accoccola su una panca e comincia a raccontare:
"Mi stavo inoltrando nelle valli innevate dello Jammu quando mi accorsi che dall'altra parte del sentierino mi veniva incontro un europeo, improbabile come un giaguaro sull'Himalaya. Come al solito ero vestito secondo la moda locale, bragonzi marroni larghissimi, camiciona marrone lunghissima, e questo cappello di lana che sto ancora portando: tutti in Afghanistan lo portano, è la calda sintesi di un turbante. All’epoca ero in caccia di piatti di terracotta indigeni, piatti che sono molto simili a quelli che si facevano in Italia nel Cinquecento, stesse semplici decorazioni, stesso materiale. Un piatto italiano di quell'epoca costa moltissimo, soprattutto se intatto: e pur non spacciando per autentici i miei piatti afghani (cosa che avrei potuto fare benissimo e che i miei clienti antiquari facevano regolarmente turlupinando i loro clienti) riuscivo a venderli con un lauto guadagno. Avvolgevo tutti i piatti in tappeti antichi di varia natura, soprattutto kilim, per proteggerli, e poi con questi rotoloni riempivo dei robustissimi armadi locali di legno intarsiato. Il container così organizzato e spedito via nave valeva all'arrivo cento volte il suo valore di partenza.”
Happy smuove un po’ le braci nel fornetto e si accende l’ennesimo bidi. Continua.
“Durante il nostro breve incontro su quei sentieri sotto il Tetto del Mondo lo svizzero barbuto mi raccontò che si stava portando dietro alcuni pezzi di radice di antichissimi albicocchi da lui scoperti in non so quale angolo sperduto del Kashmir, ad altitudini impossibili. Scambio di indirizzi. Cinque anni dopo, incontratici di nuovo a Kabul, lo svizzero mi informò che era ritornato in quelle valli, aveva ritrovato quegli stessi albicocchi e ne aveva prelevato le marze, cioè i rametti, con cui innestare gli alberelli che nel frattempo crescevano rigogliosi dalle vecchie radici, in Svizzera. In tal modo era riuscito a portare in Europa una antichissima varietà di albicocco del Kashmir, e aveva una storia magica da raccontare ai nipoti.
Nel frattempo io avevo scoperto nel Waziristan una fonte di bottigline, o meglio ampolle di vetro che avevano ben più di mille anni (è difficilissimo datare il vetro) e quando erano intere, cioè praticamente mai, costavano un patrimonio già sul posto. Ma io comperavo quelle rotte, che non valevano nulla…. ma questa è un'altra storia.”
Happy ogni tanto si interrompe per aprire il forno e controllare la cottura stuzzicando le forme di schiacciata alle erbe che sta preparando. Richiude il forno e si rigira verso la platea incantata. Mi vede, fa un gesto di saluto, appoggiato all'asta della paletta.
"Be', è arrivato l'amico Scudo: ce l'hai fatta, eh? Non è poco! Mi fa venire in mente la storia di Stefano, sul trek dell'Everest, quella volta che si è addentrato in una gola e la ha attraversata in una cesta che scorreva su una fune…"
"Cosa? Come sarebbe, parli sul serio? " È una ragazza inglese, bionda e carina.
"Certo. Spesso occorre attraversare burroni e dirupi con mezzi di fortuna. Comunque, lui ritorna per riattraversare e la cesta non c'è più! Ve lo immaginate? Era rimasta dall'altra parte del burrone… "
"Ma, dico, come ha fatto a ritornare? "
"Non lo so, fatto sta che è ritornato. Magari ha aspettato che qualche Sherpa riattraversasse. "
Costernazione e bisbigli dalle panche e da un gruppetto raccolto intorno a un pentolone d'ottone pieno di tè, altro centro di attenzione.
"L'ho sentita anch'io questa storia." Sta parlando un italiano dall'aria simpatica, capelli lunghissimi, chitarra. "Ho conosciuto Stefano, è appena partito…"
"Partito Stefano? Ma quando?" Ho l'impressione che questo Stefano si sia lasciato dietro qualche imbarazzo.
"Mi pare stamattina. Così ha detto. Perché? Ti doveva dei soldi?" "Perché, anche a te?… "
Arrivano le schiacciate, croccanti e appena appena bruciacchiate, con del ghee che sfrigola e foglioline di un'erba sconosciuta. Compare Lisa, la moglie, con una cesta col bimbo che viene subito preso in collo da una della compagnia. Il bimbo è Giacomino, in perfetta salute. Vengono divise e distribuite le schiacciate, mugolii di approvazione, aggiunta di fascine e nuova infornata di pizze.
"È facile che accada, voglio dire, che succeda qualcosa di strano, specialmente se vai in sentieri fuori pista, dove non va nessuno. "
In effetti gli abitanti delle montagne hanno sviluppato sistemi di attraversamento di burroni a precipizio, pareti lisce, ponti di corda e tavolati antichi che per noi occidentali sono vere e proprie sfide.
"Vabbè, però è anche divertente…" Questo è un romano, svariate collane di corallo e turchese, scalzo, orecchini d'argento… Non mi pare un gran camminatore.
"C'è lui” fa Happy, indicando me "che è appena tornato da Pokhara. Dove sei andato, Scudo? "
"Jomsom" dico io, che odio esser chiamato in causa in modo così esplicito. "Da Pokhara a Jomsom, circa venti giorni fra andare e tornare." Mi guardo intorno per alleviare il fastidio.
"Dicono che c'è un posto bellissimo, una sorgente di acqua calda.” È la ragazza graziosa che parla, e mi torna subito in mente la rossa francese, Lauren.
"È vero, si chiama Tatopani, Acqua calda. Ci sono stato tre giorni, è un posto bellissimo. Stai fra le montagne e sei a mollo nell'acqua calda… E poi c'è un po' di gente. Altrimenti non vedi mai nessuno, durante il viaggio, tranne yak e Sherpa.”
Mi sembra di aver contribuito abbastanza alla conversazione, taccio e mi aggiudico un pezzo di schiacciata. L'idea del ghee è ottima, rende il pane delizioso da caldo e lo lascia bello croccante.
È confortevole starsene lì a guardare i visi, ad ascoltare le storie: ho la sensazione di essere a casa. Lisa mi fa cenno di seguirla, e mi dice che posso fermarmi da loro, per la notte. Allungo il sacco a pelo nella stanza del bimbetto Giacomino, il mio sacco di tela verde mi fa da cuscino. Ripasso velocemente fra i clienti ed esco nella stradina, sento il bisogno di immergermi nell’atmosfera creata da tempietti di legno smerlettato, ballatoi dai passamani intagliati, finestrelle da cui trapelano le prime luci della sera. Ciotole con fiori arancione e giallo, i colori del Buddha, e ghirlande al collo di statue lignee. Sto assorbendo la memoria del luogo, e lo sto salutando. Essere a Kathmandu è la risposta a una promessa antica, un bisogno del cuore, un gesto per lo spirito.
Esiste un fermo posta a Kathmandu, ci vado perché non si può mai sapere. Non aspetto lettere, ma c'è una mia chitarra in vendita a Trieste, una Stratocaster color aragosta, e chi ne gestisce la vendita potrebbe persino mandarmi un po' di quattrini. Invece, guarda un po', c’è una lettera che mi aspetta.
"Hi man, this is Davinder. " Il succo della lettera è che quello stolto belga, Ian, dopo aver confezionato su mia istruzione il pacco di Mango Chutney, incensi e altre specialità indiane, invece di spedirlo a Vienna come deciso nel piano originale, ha pensato bene di metterlo in valigia e di provare a prendere un aereo diretto, immagino, a Bruxelles. Forse voleva fare il furbo e aggirare i debiti acquisiti nei confronti dei suoi complici: queste cose succedono spesso, nell'ambiente. Fatto sta che si è fatto beccare e adesso sta in prigione a Delhi, sperando nei buoni uffici della sua ambasciata. Pazienza.
Nella foto: Pokhara, Dhaulagiri e Annapurna. Il trekking attraversa la sella fra i due ottomila.
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