INDIAN TRAIL 23/a: Un magico giorno.

 

INDIAN TRAIL 23/a:  Un magico giorno.

Un magico giorno, siamo ben seicento anni prima della nascita di Cristo, nella bella India si levò una voce, la voce del Buddha, che proclamò che non si è bramini per diritto di nascita, ma per le proprie opere. L’affermazione scosse dalle fondamenta una struttura che teneva le redini sociali saldamente agganciate al diritto di nascita. Naturalmente si determinò un formidabile resistenza, da parte delle classi dominante. Gli indù da quell'orecchio non ci sentivano, e tutt'ora fanno fatica a sentirci. Un’affermazione del genere nell'India di quell'epoca e proferita da una personalità della statura del Buddha era veramente rivoluzionaria, perché scuoteva alle fondamenta le basi castali su cui si basava la società indù. Di conseguenza il buddhismo fu osteggiato in ogni modo dalle gerarchie esistenti, che tuttavia non poterono impedire il fenomeno che vide milioni di paria abbracciare una filosofia spirituale aperta a una giustizia infinitamente più umana di quella induista.

Gli intoccabili, o paria, o fuori casta, rappresentano oggi più o meno il quindici per cento di tutta la popolazione indiana, che è di circa un miliardo e trecento milioni. Si tratta dunque di quasi duecento milioni di persone. E pur essendo vero che recentemente ai paria è stato riconosciuto il diritto di essere rappresentati in parlamento e sono loro state ufficialmente riservate percentuali di posti di lavoro in uffici governativi, queste norme vengono spesso disattese e devono sempre combattere per farsi strada fra i radicatissimi pregiudizi della maggior parte della popolazione.

Esiste una contraddizione che si manifesta in India, e che non mi è immediatamente chiara quando interagisco con alcune persone, ma la cui natura vado via via comprendendo: anch'io, in un certo senso, io sono un fuori casta. Non ho segni esteriori che esplicitino la mia appartenenza a una religione, non porto sulla fronte segni distintivi di casta, non sono indù e dunque non rientro in alcuna delle categorie riconosciute e accettate. In effetti osacro gni tanto, sia pure di rado, ho la sensazione che qualcuno al mio arrivo tenda a dileguarsi, che non voglia esser visto in mia compagnia… Immagino che tema di esser contaminato dal mio essere fuori casta. La maggior parte degli indiani con cui entro in contatto è invece curiosa e attratta dal mio essere esotico, e mi frastorna di domande, sempre le stesse: da dove vieni? sei sposato? che mestiere fai? sei sposato? da dove vieni? quanti anni hai? sei sposato?... Sarò pure un intoccabile, ma a quanto pare la curiosità supera ogni barriera castale.


Patna

Senza casta fin che si vuole, ne posso benissimo fare a meno, tanto sono ormai purificato dall'immersione alle sorgenti del sacro Gange, e dunque sono innocente e pronto a riprendere la strada seguendo il corso del sacro fiume fino a Patna, laggiù nel Bihar.

Ci sarebbe la possibilità di passare da Agra, in fondo sono solo quattrocento chilometri da Rishikesh, ma ho deciso: snobberò Agra.

Per famoso e splendido che sia, il Taj Mahal non mi vedrà nella sua ombra a fissarne ammirato le bianche forme riecheggianti linee musulmane, o meglio moghul. Non ascolterò la triste storia del suo ispiratore e della sua moglie favorita, giovane e bella, nel cui ricordo fu eretta l'opera immortale. Non so come mai, ma quell'elegante palazzo di trine marmoree non è mai entrato nel mio mondo di sogno, e poi c'è un aspetto del mio carattere che mi tiene lontano dalle strade troppo consuete, una diffidenza verso ciò che è troppo ammirato da tutti. Il mio non è esattamente un viaggio turistico: questo lungo cammino serve fra l'altro a mettermi in pari con alcuni dei miei debiti verso me stesso, con le promesse che mi sono fatto molto tempo fa nei tempi insospettabili della mia prima giovinezza.

Direi che oggi l'eco più antica che in me risuona al pensiero del Taj Mahal è il suo aver dato nome a un celeberrimo diamante, e questo non basta a ispirarmi.

Proseguo: mi aspetta un percorso pianeggiante e lunghissimo, quasi tutto lungo il corso del Gange che diventa sempre più largo e pieno di barche di ogni dimensione. Ci sono circa mille chilometri da fare, e almeno venticinque ore di treno per arrivare a Patna.

Mi organizzo per bene, mi sono concesso un biglietto di prima classe visto che costa poche rupie in più di quello di seconda e che alcune esperienze precedenti mi hanno insegnato che un po' di comodità è benvenuta in un viaggio così lungo.

Mi sistemo in uno scompartimento che pur non essendo il palazzo del maharaja, almeno mi garantisce un po' di quella privacy che in India è un bene rarissimo. Me ne sto beato a leggere, le gambe allungate, sono solo nello scompartimento; immerso nella lettura de "I fratelli Karamazov ", librone grosso abbastanza da garantire parecchi giorni di lettura; ogni tanto guardo dal finestrino, mi accendo un bidi… All'improvviso si spalanca la porta, che va a sbattere con un tonfo, e un individuo incatenato mani e piedi viene catapultato nello scompartimento, subito seguito da un secondo, giovanissimo e stralunato, e da due poliziotti. A spintoni i poliziotti mettono quello giovane a sedere accanto a me, e col calcio del fucile convincono l'altro, corrucciato e ringhioso, a sedersi di fronte a me. Gli urlano in hindi, e non mi pare che siano complimenti. Le manette sferragliano, il ceffo sogguarda truce da tutte le parti. Il ragazzino è terrorizzato, immobile. Le guardie si siedono, accendono i bidi, e con una mano stretta sul fucile si rilassano un po'. Non so perché, ma ho qualche difficoltà a concentrarmi nella lettura. Penso che la prossima volta tornerò a viaggiare in seconda.

Il gruppetto, poliziotti e prigionieri, rimane nel mio scompartimento per un paio d'ore durante le quali i due poveracci vengono fatti segno di urla e sberle, e colpetti di canna di bambù sugli stinchi, soprattutto quando tentano di assopirsi. Scendono a spintoni in una stazione nel mezzo del nulla, probabilmente c'è una prigione lì vicino. Sono un po' scosso, fatico a riprendere la lettura: i pacchetti di masala dosa e altre piccole leccornie che mi sono procurato durante la fermata, oltre al chai zuccherato, contribuiscono a rasserenarmi. Mi assopisco con il libro in mano.

Il ritmico lieve sussultare del treno mi culla in un ovattato dormiveglia e mi fa ritornare in mente il racconto fantastico, descritto dal grande Kipling, di un ingegnere inglese che, incaricato di costruire un ponte sul Grande Fiume, il Gange, organizza carichi di pietre, chiatte e legname per proseguire la costruzione già avviata, quando gli arriva un telegramma che lo avverte che duemila chilometri più a monte si sta formando una immensa piena che nel giro di un paio di giorni se non prima arriverà sul cantiere, pronta a distruggere ogni cosa. La piena è creata da Madre Gunga, arrabbiatissima perché qualcuno si è permesso di progettare e attuare la costruzione di un ponte sul suo percorso senza chiedere il permesso e senza fare offerte di alcun genere. Madre Gunga, come gli indù chiamano il Gange, è stata gravemente offesa ed essendo una Divinità non può certo ignorare l’onta: ha deciso di fare a pezzi quegli improvvidi tentativi umani di sovrastarla.

I telegrammi si fanno sempre più allarmanti e l'ingegnere sprona per quanto possibile la manovalanza a darsi da fare per mettere in salvo materiali e cantieri, spostare e ancorare chiatte piene di pietre, rinforzare gli argini… Le notizie però sono drammatiche: non si ricorda una piena così violenta e veloce, una tale poderosa massa d'acqua che precipita a valle dai versanti himalayani, in rapidissimo e ineluttabile avvicinamento.

Gli operai hindu hanno capito che Madre Gunga sta per spazzare via senza pietà il cantiere, le chiatte e gli umani che troverà sul suo cammino, e cominciano a dileguarsi nelle zone circostanti. Solo il capomastro, fedele e leale al suo ingegnere, rimane al suo fianco. I due stanno su una chiatta appesantita dal carico, l'ingegnere ha un attacco di febbre malarica e il capomastro gli propina una pallottolina d'oppio per sedarne i sintomi. La corrente è sempre più forte, e la chiatta con loro a bordo si stacca dall'ormeggio e viene trascinata giù per il fiume.

Dopo qualche ora, trascinati dalla corrente si arenano su un'isoletta molti chilometri più a valle mentre tutto intorno turbinano veloci tronchi, detriti, alberi divelti spinti dalla piena che si avvicina inesorabile. I due si afflosciano esausti fra i cespugli.

Improvvisamente sentono delle voci: "Certo che li distruggo tutti! La loro folle arroganza deve essere punita! Mi hanno offesa coma mai nessuno prima! " È la divina Gunga che sta parlando a un ristretto cerchio di altre divinità, riunitesi in consiglio per valutare l'evento. "Sì, hai ragione, ammazzali tutti! Anche il mio senso di giustizia è offeso. È ora che quei pallidi nuovi prepotenti imparino a rispettarci! " Sta parlando Hanuman, lo spirito/dio/dea e  con il viso di scimmia. È uno strenuo difensore della giustizia, ma ormai ha visto che i conquistatori disprezzano gli antichi poteri e diritti della tradizione. "Se moriranno potranno rinascere a una nuova vita, e forse avranno imparato un po' di modestia. Anche loro possono crescere! "

Altri spiriti e dei e dee sono presenti: Ganesh dalla testa di elefante è fra i pochi ad avere qualche dubbio. Sua specialità, fra le altre, è di benedire e assecondare ogni impresa al suo nascere, non di impedirne il successo. La discussione continua mentre l'ingegnere e il capomastro ascoltano rapiti e nascosti, testimoni di un evento magico e straordinario.

Si sente il tintinnio di una campanellina, e compare Krishna, l'amato avatar di Visnu, il dio dell'amore e della compassione. È azzurro e i suoi occhi a mandorla risplendono. "Hai ragione, Grande Madre. Gli stranieri meritano di essere puniti, tu sei nel giusto a sentirti offesa. Però, Madre, ci sono centinaia di innocenti. E poi, Madre, pensa a quante preghiere e ringraziamenti, pensa a quante ghirlande di fiori verranno offerte alle tue acque da quel ponte. Senza saperlo, gli stranieri ti onoreranno per molti secoli a venire, e tutti coloro che attraverseranno il tuo ponte ti ringrazieranno, molti sant'uomini e sante donne ti benediranno, e ammireranno la tua forza e la tua bellezza. Madre, acquieta le tue acque e mostra la tua infinita generosità. "

Le sagge parole di Krishna riescono a rasserenare la Madre Gunga il cui corruccio e la cui ira pian piano si stemperano nell'abbraccio dell'azzurro Dio dell'amore.

La piena rallenta, cessa di essere una minaccia e l'ingegnere può risalire il corso del fiume fino ai suoi cantieri miracolosamente salvati.

Commenti

Post popolari in questo blog

Indian Trail : 1: Folkstudio Files

El xe andà avanti

Indian Trail 17: Danni collaterali della rivoluzione.