INDIAN TRAIL 20/a. I Muria.
INDIAN TRAIL 20/a. I Muria.
Ci sono alcune esplorazioni che mi sono prefisso di fare, oltre a scoprire qualcuna delle infinite meraviglie della capitale. Una di queste è una visita al Museo Nazionale, che naturalmente contiene innumerevoli oggetti, reperti, arte e manufatti disseminati su un percorso lungo e complesso che si snoda fra stanze e corridoi ben rispettando e onorando etnie, epoche e civiltà importantissime eppure ormai quasi dimenticate. Nelle vetrine riposano terrecotte delle dee Madri provenienti da Mohenio Daro e Harappa, sedi delle più antiche civiltà di questa parte del mondo, duemilacinquecento anni prima di Cristo nella magica valle dell'Indo: si ammirano, i giocattoli dei bimbetti di allora, deliziosi carretti e animalini, eleganti statuine; e poi, in epoche successive, le armi, le sciabole ornate, i coltelli ricurvi, e i gioielli, semplici collane di giada e orecchini, spille e pendenti, decorazioni per turbanti tempestate di smeraldi e diamanti. Si passa da un tesoro all'altro finché subentra uno stato di ipnosi: allora è meglio proseguire veloci, magari ripromettendosi ulteriori visite.
Ma c'è una sala dove voglio arrivare prima di essere sopraffatto e ottuso da tanto splendore, ed è una delle grandi sale centrali, dedicata al grande antropologo inglese Verrier Elwin.
Elwin dedicò una lunga parte della sua vita di scienziato e ricercatore allo studio longitudinale (in antropologia significa protratto nel tempo, come ricordo dai tempi dei miei studi universitari) di una popolazione del centro dell'India: i Muria, la cui organizzazione sociale, come lui ebbe modo di scoprire, aveva del miracoloso.
Dopo anni di osservazioni e note Verrier Elwin riuscì a individuare qualcosa di così meraviglioso e socialmente taumaturgico che le varie scuole psico-sociologiche nostrali dovettero avvertirne il potenziale rivoluzionario, perché pensarono bene di ignorarlo, isolarlo e dimenticarlo: e infine obliterarlo con i soliti noti sistemi.
Lo studioso visse per vent'anni con i Muria, un complesso di tribù che abitavano nell'interno del Bastar, un distretto nell'India centrale. Sparsa in vari villaggi la popolazione Muria contava circa trecentomila persone. Pian piano, convivendo con loro, chiedendo ed elaborando, Elwin si rese conto che a memoria di anziano/a - vale a dire da più di cento anni - nella tribù non vi erano stati omicidi, tranne due, nessun suicidio né furto. Non erano mai esistiti crimini sessuali, e si aveva memoria di solo due o tre divorzi. Penso sia importante soffermarsi su questo aspetto: parliamo di una società priva di crimini.
Una società, nei limiti umani, felice.
Mandriani, raccoglitori e contadini, costoro convivevano in pace da sempre. L'inglese, provenendo da un'Europa guerrafondaia e sfruttatrice, zeppa di cromosomi feroci e aggressivi, non poteva credere alle sue orecchie. La ricerca lo affascinava. E’ opportuno ricordare che all’epoca esisteva in Europa una corrente psico-antropologica dominante, influenzata dal grande guru del momento Sigmund Freud. Una delle colonne della teoria freudiana, quella cioè che si basava sulla dichiarata onnipervasività dei complessi di Edipo e di Elettra, costituiva per i suoi studenti e oppositori una sfida ineludibile. Molti di costoro intrapresero una corsa alla ricerca di realtà tribali che, non afflitte dai complessi di Edipo e di Elettra, consentissero loro di confutare l'irritante universalità del principio per cui tutti vogliono sotto sotto copulare con la madre, o il padre. Così vennero snidate popolazioni, come ad esempio i Tobriandesi, che senza nulla aver chiesto si ritrovarono sotto la spietata lente pseudo-scientifica degli studiosi all’arrembaggio. Per puro caso questi Muria erano stati abbastanza fortunati da non essere individuati e scoperti: sarebbero altrimenti stati immediatamente travolti dalla malsana e onnivora curiosità occidentale. Defilati nelle giungle del Madhia Pradesh erano riusciti a sopravvivere per un altro po’ di tempo.
L'istituzione, semplice e geniale, che generava questa specie di paradiso della convivenza, si chiamava gothul. Il gothul era una grande capanna, in genere la più grande del villaggio, dove tutte e tutti i giovani si trasferivano dai sei anni in poi, cioè appena erano autosufficienti nel nutrirsi e tenersi puliti, e ci rimanevano fino ai diciassette, diciotto anni, quando in genere si sposavano. Durante la giornata interagivano con la tribù, lavoravano, badavano alle mandrie, raccoglievano la legna; di notte si ritiravano nel gothul, dove facevano quello che gli pareva. All'interno del gothul poteva entrare solo chi vi abitava, cioè i giovani, e le regole e norme di comportamento erano decise dalle più anziane e anziani fra i giovani. L'amore e l'esplorazione sessuale erano perfettamente liberi, vissuti con totale naturalezza. I più giovani chiedevano, guardavano, imparavano; in assenza di connotazioni artificiose tipo colpa, possesso, segretezza, la sessualità si poteva sviluppare limpida e serena. Non vi si affastellavano intorno quelle nevrosi e turbolenze, quelle frustrazioni e morbosità che ancora oggi sono così preziose per chi ci vuole controllare, che ne ha bisogno onde avere una mandria umana ben squilibrata e sofferente. Probabilmente, se il giovanissimo rompeva le scatole con le sue curiosità, si prendeva una pedata o uno scapaccione, ma non più che in altri giochi, e la sfera dell'esperienza sessuale era libera e gioiosa, piena di sorprese e misteri da scoprire, in un clima di amorevole fratellanza. Pensavano che le probabilità di concepimento aumentavano nelle relazioni di lunga durata (anche da noi c'è stata questa teoria, a un certo punto), per cui il cambio di partner avveniva spesso ed era difficile che qualcuno fosse escluso.
Lungi dal divenire un'orgia collettiva e disordinata, il gothul permetteva alla parte giovane della tribù di elaborare con naturalità le proprie pulsioni adolescenziali, così che quando infine le coppie decidevano di sposarsi, lo facevano per sempre. Per migliaia di anni i Muria vissero in perfetto equilibrio, benedetti dall'assenza di tabù e obblighi morali applicati alla sessualità: da adulti, si ritrovavano un bagaglio di conoscenza ed esperienza in materia che consentiva loro di vivere in pace, perché la complessa matassa di problematiche di origine sessuale che molti di noi si trascinano come fardello per tutta la vita era loro sconosciuta, e non avevano bisogno di tradurre la frustrazione in violenza, l'amore in possesso, il mistero in paura.
Poi arrivarono i missionari.
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