El xe andà avanti
La casa di Trieste è stata venduta, e siccome fu dimora molto amata da tutta la mia famiglia ho pensato di pubblicare una pagina scritta quando il vecchio Manlio, suo ideatore, se n'è andato.
El
xe andà avanti.
Sono ritornato a casa, dove la vigna, la
Piccola Grande Quercia, la vite che s’arrampica fino alla finestra del primo
piano attendevano notizie sugli ultimi eventi triestini. Ho raccontato loro che
il gentiluomo che a suo tempo aiutò a districare il groviglio del rampicante e
che, essendo all'epoca l’unico in famiglia a capirci qualcosa, dispensò
preziosi consigli su potature, impianti di barbatelle, metodi Casarsa per
razionalizzare la vigna nuova e mille altri suggerimenti funzionali al vivere
in campagna, ebbene, quel signore che allora aveva l’età che ho io adesso non
c’è più, e, come dicevano gli alpini in guerra, “El xe anda’ avanti”. E’ andato
avanti.
Anche il boschetto di casa, sull’altipiano
carsico a Trieste, e la casa stessa sono stati informati: non che ignorassero
l’evento, perché nulla passa inosservato a coloro che per tanto tempo hanno
protetto il vegliardo, figuriamoci gli alberi da lui piantati e la casa da lui
costruita. Ma le cose vanno trattate con gentilezza e con rispetto, ed è bene
che sentano una voce che si rivolga direttamente a loro, e li invita ad unirsi
al saluto. Perciò mi sono fatto un giro del boschetto, fra i pini da ripulire
ed i carpini giallo-dorati, i tigli che combattono per trovare la luce lassù in
alto e le quercette che reclamano il loro diritto ad un po’ di spazio, essendo
anche loro autoctone e locali. In effetti negli ultimi decenni ho visto il
lento ritorno del bosco primigenio, quello originale carsico spruzzato di rosso
sommacco e bianco calcareo, che si fa strada fra i pini importati dagli
austriaci e, più tardi, dai loro seguaci forestali. Il Pinus Nigra, o pino
austriaco, è veloce a crescere e facile ad attecchire: perciò negli anni
cinquanta-sessanta fu molto gettonato dai forestali, che ne piantarono a
milioni in tutta la penisola. Non tennero però conto di alcuni fattori, come ad
esempio l’acidificazione del terreno che è un tipico fenomeno da pineta (è noto
che nulla cresce volentieri sotto i pini), o il cambio di microclima (i
sempreverdi ombreggiano il terreno tutto l’anno, deviano i venti anche
d’inverno ecc.) e nel nord-est persino ignorarono il fatto che la radice a
fittone del pino non riesce a penetrare in profondità la roccia carsica: ed
infatti molti alberi crollano sotto la sferza della bora proprio perché mancano
di fondamenta. C’è dunque una certa giustizia nell’evolversi naturale delle
cose, quasi una lezione continua della natura che permette, a noi pulviscolo
umano, di fare i nostri esperimenti ed i nostri errori, salvo correggerli nel
tempo. E così ridiventa selvaggio il boschetto di Padriciano, quel quadratino
fitto fitto in cui da bimbetto riuscivo quasi a perdermi, avendo come punti di
riferimento la panchetta rotonda in pietra posata da mio nonno Nino ed una
minuscola dolina, una depressione carsica in un angoletto che era il mio
fortino nella giungla.
Forse
un giorno ci siederemo ancora su quella panchetta, lievi spiriti senza tempo, a
sorriderci con occhi immateriali, trasparenti ricordi sospesi alle foglie dei
carpini.
una lacrimuccia...
RispondiEliminaBellissimo! Mi ricorda il mito di Apollo e Dafne: tuo Padre che attraverso le tue parole e la descrizione degli alberi, degli arbusti, delle foglie, sembra inserirsi nella Natura e diventare una pianta, o meglio una grande quercia.
RispondiEliminaUnknown del 5 gennaio è mio: Luisella Schreiber!
RispondiEliminaIl rispetto per tuo padre commuove il cuore...la capacità di rimembranza è già poesia.
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