INDIAN TRAIL 19/a Dal Tempio d'oro all' Old Bazar di Delhi.

 INDIAN TRAIL 19/a Dal Tempio d'oro all' Old Bazar di Delhi.

Il luogo più sacro per i Sikh è il Tempio d'Oro, un gioiello di costruzione tutta dorata che sorge su un'isoletta al centro di un lago di modeste dimensioni, nel cuore di Amritsar. Tutto intorno al lago passeggiano centinaia di persone, per lo più Sikh ma anche molti visitatori, turisti, indiani. Ci sono personaggi straordinari, in mezzo alla folla: ce n'è uno che sgambetta lesto, un Sikh dalla statura minuscola e la cui testolina sostiene un turbante multicolore alto almeno un metro, il che lo fa sembrare alto e imponente, e che con aria spavalda regge una lancia dalla lama ricurva e minacciosa, molto più grande di lui. Ha pure un lungo coltello rituale che gli sbatte contro le gambe. Sembra pattugliare l'ingresso dell'unico ponticello che permette l'accesso all'isoletta dove sorge il Tempio d'Oro. Non è il solo a guardia del ponte: altri due Sikh molto più grossi e marziali di lui regolano blandamente l'afflusso di fedeli e curiosi che vogliono percorrere il giro rituale del Tempio, giro che anch'io mi impegno a fare sospinto dall'umana incessante corrente. La costruzione è tutta laminata d’oro, l'esterno è fitto di modanature e bassorilievi, di fregi e piccole decorazioni che si fondono una nell'altra grazie all'uniformità del colore che sembra elidere ogni ombra. Mi pare tutto perfettamente intatto: sembra che i fedeli rispettino il loro tempio e si astengano dal sottrarne pezzettini, cosa che altrove succederebbe di sicuro.
Fatto il periplo del tempio riattraverso il ponticello e passo fra la moltitudine che attende di poter entrare. È il tramonto, e la scintillante costruzione si riflette nell'acqua del piccolo lago. Tempo di raggiungere il generoso serraglio che mi ospita, e di trovare una calda zuppa di spinaci, patate e curry.
Delhi
Da Amritsar a Delhi, capitale dell'India, ci sono quattrocentocinquanta chilometri, e la corriera li percorre in circa dodici ore con numerose soste per dar modo ai viaggiatori di approfittare delle bancarelle di involtini di riso e patate, di tè e manicaretti vari che molti si portano a bordo.
Lungo tutta la strada sorgono casette, capanne e baracche e pascolano capre e girellano galline e qualche porcellino. Bimbetti ovunque. Sempre più radi i turbanti Sikh, via via che ci si allontana dal Punjab per affacciarsi all'immensa pianura del Gange, all'estremità occidentale della quale sorge Delhi, la capitale.
Scendo in mezzo a un notevole groviglio di bus, automobili sfreccianti e riksciò motorizzati che si intrufolano nel traffico con abilità impressionante e totale disprezzo per l'uso dei freni. Sono tutte Api della Piaggio rielaborate e riadattate all'uso, niente porte, gran portapacchi, decorazioni policrome su ogni superficie. Clacson, grida, qualche mucca biancastra e indifferente in mezzo alle aiuole spartitraffico, dove resiste qualche filo d'erba.
Trasportato da un riksciò Piaggio guidato a razzo fra passanti e mucche da un giovanotto che come quasi tutti da queste parti indossa un lunghi, cioè un lungo drappo annodato in vita, ho finalmente raggiunto l'Old bazar di Delhi, dove una modesta guest house situata in uno dei vicoletti della città vecchia mi accoglie in una stanzetta piccina e abbastanza pulita. Mi accompagna ai miei alloggi un ragazzino svelto e sorridente che sale le scale in un battibaleno e poco dopo mi porta un vassoietto con il tè, che qui si chiama chai, in segno di benvenuto. Un geko se ne sta immobile sul muro, penso si occupi delle zanzare. Esploro la doccia e il bagno, che sono in comune con tutto il piano, e sembrano puliti anche quelli. Mi sento fortunato.
È mattina, me ne sto sulla terrazzetta che guarda sulla piccola piazza del mercato, due piani più sotto. Tutto intorno centinaia di aquiloni danzano e saltellano nell'aria che diventa via via più torrida, semplici rettangoli di carta colorata trattenuti da uno spago. Il brusio è continuo, il movimento e i flussi delle persone che entrano ed escono da vicoli e negozi è incessante: stanno fermi solo i lucidatori di frutta, che prendono ogni singola mela rossa e verde, o mango giallo e arancio, o papaya smeraldina e la strofinano vigorosamente, ogni tanto sputacchiandoci sopra per maggior effetto lucidante, per poi disporla al suo posto preciso in una piramide perfetta e omogenea posata per terra su una tovaglietta, immagino per motivi di igiene, accanto ad altre piramidi di altri colori luccicanti, vivaci e invitanti. Appena più in là, ma vicinissimi, i venditori di spezie, anche loro circondati da grandi coni di splendide polveri, curcuma rossa, curry dorati, mille tipi di micidiali peperoncini, masala, in un arcobaleno che va dal giallo acceso al rosso al mattone scuro. C'è un notevole ordine, nel caos apparente; ogni tanto un lampo di luce viola, o azzurra, o rosa acceso si manifesta nelle aperture dei negozietti di stoffe, quando i commessi srotolano e sventolano le sete dei sari e degli scialli. Insomma, un classico bazar pieno di vita e commerci.
Improvvisamente, da un vicolo insospettabile, irrompono sulla scena sei bufali d'acqua, neri, lucidi, enormi, con corna larghe un metro. Si soffermano un istante a sogguardare minacciosi le belle piramidi di frutta e i mucchietti di verdure e poi ingolositi partono caracollando all'attacco. Quello che non divorano, distruggono. Sono sacri, bisogna lasciarli fare. La deliziosa coreografia della piazzetta si dissolve in pochi minuti di incursione selvaggia, mentre un minuscolo mandriano dotato di una miserrima frustina di bambù finge di picchiare selvaggiamente i bufali colossali, che lo ignorano. Strilla, il poverino, piange quasi, perché deve fare la scena che spera lo salvi dalla vendetta dei vari venditori: infatti, i bufali sono protetti da un'antica sacralità - al massimo, quando nessuno vede, puoi dargli una gomitata in un occhio per farli deviare, loro e le eventuali vacche, dalla tua strada - ma il mandriano non è affatto sacro, né protetto. Inseguiti dallo sciagurato che trotterella agitando l’esile verga i bufali, sazi e soddisfatti, infilano un altro vicolo e si dileguano verso altre avventure. Son passati cinque minuti, e la piazzetta sembra uno scarico d'immondizia dove sia esplosa una bomba. I lucidatori di papaye sono già accoccolati a ricomporre le piramidi, le stoffe riprendono a sventolare e i mucchi di spezie vengono ripettinati e ricompattati. In dieci minuti tutto è tirato a lucido come prima, sembra che non sia successo nulla e i bufali sono scomparsi anche dal ricordo. L'unico catafratto col bicchiere di tè ancora in mano sono io, testimone di uno straordinario evento quotidiano, un nuovo esempio di impermanenza delle cose e di flessibilità nell’accoglierla.
Per qualche giorno girello per il bazar e mi beo dello spettacolo incessante offerto dai mille piccoli affari che vi si realizzano. Dame avvolte in sari di seta e corpetti intonati seguite da una o due ragazze che portano i pacchi e pacchetti degli acquisti, le dame trattate con grande deferenza dai venditori e le servette comandate a bacchetta; inservienti in dhoti, che è una striscia di stoffa che fascia i fianchi e scende fino alle ginocchia, ben più corto del classico lunghi che è più elegante ma più ingombrante - che fanno gli acquisti per qualche casa dei dintorni, battendosi per il prezzo e scegliendo con grande cura frutta e verdura; carretti e riksciò, mucche brade, ragazzetti con immensi pacchi sulla testa o sgambettanti con vassoi in equilibrio per portare il tè a clienti e negozianti…
Ogni tanto compare un sadhu coperto di cenere e seminudo, a volte con una tunica color zafferano, è un sant'uomo, un devoto di Shiva, nel qual caso spesso impugna un tridente, o di Visnu. Le tre fondamentali divinità indù sono Brahma, Shiva e Visnu, ovvero la sacra Trimurti. Uno degli avatar, o manifestazioni, di Visnu è Krisna, il divino dalla pelle azzurra: la cenere di cui alcuni sadhu si cospargono li rende infatti grigio-azzurri, come il loro amato Krisna. Sulla fronte questi asceti portano dipinti i segni che ne identificano la devozione.
I sadhu girano l'India mendicando il cibo, non possiedono nulla e sono figure misteriose e di solito pacifiche, accettati e rispettati da tutti. Ne esistono piccole sette più inquietanti, ma un’analisi del loro universo che non sia superficiale richiederebbe uno studio e una conoscenza che non possiedo.
Sulle strade di India e Nepal questi sant'uomini e sante donne sono circa cinque milioni - le donne sono più o meno il cinque per cento - e qui nell'old bazar di Delhi non ne possono certo mancare svariati esemplari.
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