INDIAN TRAIL 17/a: Alle porte dell'India.

 INDIAN TRAIL 17/a: Alle porte dell'India.

La vastissima vallata creata dal maestoso fiume Indo, che nascendo timido ruscelletto negli altipiani del Tibet si intrufola ai piedi del K2, attraversa le aree tribali del Gilgit e percorre il Pakistan da nord a sud diventando via via più possente e maestoso, è a mio avviso una delle meraviglie della natura. L'Indo è lungo più di tremila chilometri, e la portata media di acqua è di poco meno di settemila metri cubi al secondo, circa il doppio del Nilo. Un metro cubo, come ben si sa, contiene mille litri d’acqua.
Nei millenni l'Indo ha creato un paesaggio incomparabile, trasformando e coreografando la sua valle in modo tale che in essa coesistono due livelli, uno sopraelevato rispetto all'altro di una cinquantina di metri e più, ed entrambi di pari superficie, ciascuna quasi perfettamente piana. Il labirinto che così si è andato formando, nella zona in bassorilievo è costituito da miriadi di vallette e passaggi che si intersecano all'infinito: mentre gli altopiani, che stanno più in alto, a loro volta sono un pazzesco labirinto i cui diverticoli sono di tanto in tanto ponticellati da passaggi aerei che permettono il transito da un altopianino al prossimo. L'effetto per chi guarda questa immensa vallata è davvero stupefacente: due mondi completamente diversi ed equivalenti coesistono, e non sembrano esserci comunicazioni fisiche fra i due livelli. Un paesaggio davvero fiabesco.
Il treno percorre il fianco orientale della vallata, a mezza altezza, e lo sguardo attonito spazia per ore su migliaia di chilometri quadrati di labirinto.
Lahore: si vanta di essere la capitale culturale del Pakistan, e magari lo è davvero. Tuttavia io sono in transito e posso assorbire solo quello che mi viene spontaneamente incontro, in genere suoni, odori, architetture. I luoghi hanno ciascuno la propria atmosfera, quasi un manto energetico che li individua e contraddistingue e che è formato dalla loro storia, dal loro presente e anche dal loro posto nei nostri sogni. La parola Lahore ha un bellissimo suono, al mio orecchio interiore: è una delle località il cui minuscolo nome andavo cercando insieme a mio fratello sull'enorme atlante De Agostini, quando per gioco ci sfidavamo a trovare cittadine quasi invisibili sulla vasta carta geografica dell'India. Quei suoni, quei nomi sono stati uno dei motori che hanno ispirato il mio viaggio.
Il Pakistan, come succede in quasi tutti i paesi, controlla poco i viaggiatori in uscita, pare che non gliene importi nulla. Le guardie sanno benissimo che poco più avanti, al confine con l'India, i controlli saranno minuziosi, soprattutto quando transitano occidentali dai capelli lunghi e bagagli ridotti al minimo. Costoro vengono spesso presi con le mani nel sacco nel tentativo di importare qualche sostanza proibita, tavolette di hashish nella migliore delle ipotesi, ma anche a volte discrete quantità di eroina: nella zona di Quetta, più a sud, si produce una quantità impressionante di oppio e dei suoi micidiali derivati, ed è un tipo di merce molto ricercato in India, dove esiste un fiorente mercato soprattutto fra gli occidentali sbandati.
Le guardie di frontiera indiane sono alte, belle e assai decorative. Appartengono tutte alla casta Sikh, la casta guerriera, ed hanno un portamento dignitosissimo e marziale. Portano un turbante rosso annodato in modo particolare, costituito da una striscia di stoffa lunga parecchi metri e avvolta con maestria a celare la capigliatura che, per tradizione, dalla pubertà in poi non viene mai tagliata per il resto della vita.
Tutti maschi, tutti con folta barba nera tenuta a posto da una reticella quasi invisibile. Fucile a tracolla, pistola e coltello al fianco. Occhi attenti sorvegliano il gruppetto di viandanti che si snocciola davanti alla caserma di confine. Bagagli a terra, tutti in fila con i passaporti in mano. Gli indiani che stanno rientrando in India vengono fatti passare velocemente nonostante i voluminosi pacchi e scatoloni che si portano appresso: soprattutto le donne non vengono quasi controllate. Pakistani e simili vengono scrutati un po' più a fondo, ma anche loro procedono abbastanza spediti.
La nostra fila si è molto ridotta, siamo sette od otto di varie nazionalità e dall’aspetto un po' provato dal viaggio.
Arriva una donna, sari azzurro e corpetto blu, sciarpa sui capelli nerissimi. Grassottella e di mezza età, si ferma davanti a noi e ci sogguarda uno per uno con calma e a lungo. Osserva tutto il corpo, soprattutto il viso, e dà un'occhiata di tralice ai bagagli ai nostri piedi. Non fa domande e due Sikh armati le stanno vicino. Poi indica uno di noi, uno con i capelli lunghissimi che però sembra assai simile a tutti gli altri. I Sikh lo portano in caserma insieme al suo bagaglio.
Si dice che questa donna sia sempre di servizio al confine indiano, e che riesca a individuare trafficanti e contrabbandieri praticamente a colpo sicuro. Ne avevo sentito parlare già a Kabul, perché è un tipo leggendario la cui fama ha percorso moltissimi chilometri. Pare che quando lei è presente non passi droga, e che abbia fatto arrestare centinaia di furbacchioni.
Io sono pulito, raccolgo lo zainetto, faccio timbrare il passaporto e finalmente entro in India.
May be art of outdoors
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