INDIAN TRAIL 8/a: Hammam.
INDIAN TRAIL 8/a: Hammam.
In un vicoletto vicino al mio albergo c'è un hammam, ovvero un bagno turco, e decido di ritemprarmi in previsione della partenza da Istanbul. Entro, mi danno un bell'asciugamano, mi spoglio ed entro in una sala molto bella, illuminata da una cupola di vetro dorato, sedili di marmo tutto intorno, grande vasca marmorea al centro con molte fontanelle da cui sgorga acqua calda per sciacquarsi prima di entrare nella sala successiva, più piccola e molto più calda. Sui sedili, sempre di marmo, ci sono alcuni bagnanti grondanti sudore pudicamente avvolti nei loro asciugamani. Il caldo è soffocante, ma sopportabile. Grondo anch'io, mi distendo e mi rilasso lasciando che il calore mi penetri sia dal marmo che dall'atmosfera satura di vapore. Mi alzo con fatica, il calore mi ha sfiancato non poco, l'asciugamano è fradicio e io non sono da meno. Entro nella prossima saletta, dove il calore è quasi insopportabile e i sedili scottano. L'acqua delle fontanelle a parete è quasi bollente e il vapore è densissimo. Ci posso rimanere qualche minuto appena, tirare il fiato è un affar serio e sembra di respirare acqua calda. Barcollo verso una sala adiacente, molto più fresca e i cui marmi sono solo tiepidi e l'acqua delle fontanelle non spella le mani.
Oltre ad alcuni bagnanti nella sala ci sono due o tre omoni, avvolti anche loro in asciugamani, che si occupano dei massaggi. Alzando un dito ne chiamo uno che si avvicina e mi fa stendere supino su una panca di marmo e comincia a picchiettarmi con le manone sulla schiena. Niente male, finché mi acchiappa una caviglia e piega e stira la gamba cercando di far arrivare il tallone alle scapole. Poi mi piega le braccia dietro la schiena, come faceva mio fratello quand'eravamo bambini, per costringermi alla resa. Poi mi schiaffeggia con l'asciugamano e mi manipola senza pietà.
L'omaccione finalmente mi libera e posso andare alle docce dove sotto l'acqua fresca pian piano mi riprendo. Quando esco mi sento rinato e rinnovato, e piuttosto famelico.
Nei pochi giorni di permanenza a Sultan Ahmet si possono incontrare dozzine di viaggiatori: è uno dei luoghi dove si riuniscono tutti quelli che fanno tappa lungo quel tratto di percorso noto come Via della Seta, l'antichissima arteria che da secoli unisce oriente e occidente. Ci si scambiano notizie e informazioni, indirizzi e pettegolezzi, piccoli regali, preziosi consigli: la gente sulla strada continua a incontrarsi, separarsi, si unisce per fare dei tratti di viaggio insieme, ognuno avendo un proprio ritmo e curiosità da esplorare; ma il percorso è sostanzialmente lo stesso, così che, come perle mobili sulla collana della grande via, ciascuno aggiunge la propria sfumatura al grande fiume in continuo movimento.
Nel piccolo ristorante al secondo piano di un palazzetto dotato di balconi che si affacciano sulla piazza, di fronte alla grande moschea, vedo entrare un gran bel tipo vestito di bianco, insieme a una raffinata ed elegante ragazza, diafana dai lunghissimi capelli scuri. Riconosco subito lui, Patrick, uno svizzero con cui ho trascorso qualche anno prima dei felici momenti a Roma, Trastevere, seduti ai tavolini di Augusto in Piazzetta Renzi e sui gradini della fontana di Piazza Santa Maria, suonando allegri e senza preoccupazioni. Erano i tempi in cui prendeva forma il sogno del mio viaggio futuro, e la mia chitarra era una umile Eko.
"Hey, Patrick! "
"Scudo! Che sorpresa! Bello vederti! ". I due si siedono sul basso divano, il cameriere porta dell'altro tè.
"Insomma, ti sei deciso…E nel frattempo cos'hai combinato? Ah! Lei è Elaine, lui è Scudo ". Elaine ha un delicato viso elfico, uno sguardo distante negli occhi azzurri, sembra indifferente a quel che la circonda, me compreso. Sento una piccola stretta al cuore, mi turba tanta bellezza palesemente avvolta nella nebbia distaccata dell'eroina.
"Da quanto sei qua, Patrick? Io penso di andarmene domani, se trovo un passaggio. "
"Be', siamo qua da un paio di settimane. Aspetto dei soldi dalla Svizzera, poi penso che andremo dai miei, a Basilea. " Mi aspetto che Patrick mi dia una stoccata, mi chieda cioè un prestito, cosa che non posso permettermi perché le mie risorse sono modeste e devono sostenermi per chissà quanto tempo.
"Scudo, mi servirebbero un po' di dollari per un paio di giorni, finché mi arrivano… "
"Mi dispiace, non posso darti nulla: domani se riesco me ne vado, e la strada è lunga. Se ti arriva qualcosa fra pochi giorni ce la puoi fare, no? " Qualunque cifra si ritrovi a disposizione finirà nelle mani di qualche piccolo spacciatore, e che io sappia, mai nessun prestito di questo tipo è stato restituito.
Se Patrick è qui da due settimane vuol dire che ha visto passare un sacco di persone, nel qual caso…. "Patrick, sai di qualcuno che stia andando verso Ankara? Mi servirebbe un passaggio, devo arrivare in Persia. "
"Mmm, mi pare di aver sentito che un paio di ragazzi stanno per andarci in macchina: prova alla Taksim Lodge, dovrebbero stare lì. Se no, se aspetti è facile che vengano qui fra un po'. " Sogguarda la bella sul divano, che non reagisce ai suoi sorrisi.
La Taksim Lodge è l'alberguccio dove anch'io ho la mia stanzetta, una specie di sottotetto nell'intercapedine del quale di notte si sentono scorrazzare topi e topini. Nessun problema, se non si intrufolano nella stanza. Trovo la coppia, sono italiani, Gianni e Sandra, e offro loro un tè nella minuscola hall. Breve trattativa, contribuirò alle spese e dividerò il sedile posteriore con i bagagli. Siamo d'accordo, viaggeremo insieme fino ad Ankara, quattrocentocinquanta chilometri, poi si vedrà. Partenza domattina. Arrivo non si sa bene quando.
Da Istanbul ad Ankara ci sono quattrocentocinquanta chilometri di strada un po' dissestata ma tutto sommato accettabile. Manuela e Marco si danno il cambio alla guida mentre io faccio compagnia ai bagagli e mi tengo lo zainetto sulle ginocchia. La macchina sobbalza e procede, ci fermano ogni tanto gruppi di poliziotti, ma siamo palesemente inoffensivi e continuiamo attraversando un territorio vasto, pianeggiante e verdeggiante.
"Fino a dove pensate di arrivare con la macchina? " chiedo a entrambi. La macchina è una antica due cavalli Citroen che si adagia cedevolmente nelle curve e nelle buche.
"Be', attraverseremo la Persia, pensiamo, e poi la venderemo. In Afghanistan comperano qualsiasi mezzo, ci hanno detto. Non possiamo certo arrivare fino in India. "
Manuela ride, è molto carina e allegra. A Marco sta crescendo una barba che lo fa sembrare quasi locale, visto che da queste parti i baffi sono praticamente obbligatori e le barbe, addentrandoci nel paese, si moltiplicano. Anche a me si sta allungando la barba, e i baffi me li devo accorciare ogni tanto. Più avanti, viaggiando da solo, cominceranno a chiamarmi 'sufi'
"Sentite, sarà meglio che ad Ankara mi molliate: mi han detto che la strada da lì in poi è infame. " Penso che sia giusto alleggerire la due cavalli del mio peso, e dubito che l'automobilina possa resistere a lungo. Sembra più carino che sia io a suggerire la dipartita, che avverrebbe comunque. Magari ci incontreremo ancora lungo la strada.
"Hai ragione. L'abbiamo sentito anche noi che da Ankara in poi ci sono lunghi tratti senza asfalto, e poi arrivano le montagne...
I due sono molto amichevoli e simpatici, spero per loro che tengano duro e che il viaggio sia loro favorevole: sono rare le coppie che resistono rimanendo tali in avventure di questo genere e durata. I continui cambiamenti cui bisogna adattarsi tendono a trasformare le persone, forse è uno degli effetti che sia pure inconsciamente cerchiamo, quando ci mettiamo su percorsi così accidentati. Le persone non cambiano di pari passo, all'unisono, ed è inevitabile che le relazioni subiscano variazioni inaspettate. Bisogna essere elastici e resilienti con noi stessi, che è già un notevole impegno: chiaro che l'impegno si moltiplica quando le diverse resilienze devono operare in sintonia.
Se dovessi dare un consiglio a futuri esploratori ed esploratrici, direi loro di intraprendere l'avventura da soli/e. Una scelta del genere è già di per sé una bella sfida.
Commenti
Posta un commento