INDIAN TRAIL 15/a: Khyber Pass.
INDIAN TRAIL 15/a: Khyber Pass.
Mi sono affezionato all'Afghanistan, alla sua dolcezza e gentilezza, al senso dell'umorismo che spesso affiora inaspettato e all'aria di grande libertà e tolleranza che vi si respira. Un'oasi serena e rilassata, soprattutto dopo aver attraversato la Persia. Persino il tè, servito in teiere leggere e profumate, e lo yogurt, e il riso fritto sono diventati più saporiti e delicati. Questo popolo è forte come la roccia su cui vive e flessibile come il vento delle alte valli, e può essere tollerante verso le proprie abitudini e piaceri e anche verso quelli degli stranieri in transito.
Ogni tanto tuttavia qualcuno che viene sorpreso a trafficare droghe viene arrestato e messo in prigione: bruttissima faccenda e tristissima storia che si ripete in molte delle città sparse lungo la grande Via della Seta, da Istanbul in avanti, passando per alcuni centri dove le pene per consumatori e trafficanti sono addirittura terribili.
Qui in Afghanistan, che pure è un paese non troppo bigotto e piuttosto amichevole, se si viene sorpresi a spacciare eroina si finisce dritti in galera per molti anni, e le galere afghane sono note per la loro durezza, e soprattutto per non dare cibo ai carcerati. Ognuno deve cavarsela da solo, e mentre gli afghani prigionieri hanno quasi sempre qualche parente che dall'esterno procura loro da mangiare, gli occidentali non hanno nessuno. A volte le ambasciate provvedono, ma gli addetti alle ambasciate odiano i loro connazionali scapestrati e irresponsabili capaci soltanto di procurare guai. Gli aiuti, quando ci sono, sono lenti e per nulla entusiasti. Chi è dentro, oltre a dover "staccare freddo ", cioè a entrare in un'obbligata crisi di astinenza più o meno atroce, deve cavarsela in mezzo ai criminali locali, mendicare e abbrutirsi. Qualcuno a volte ha un po' di soldi su cui contare, meglio se affidati a un amico in libertà e sempre sperando che l'amico non sparisca nel nulla. Le amicizie in questo genere di ambiente non sono molto affidabili.
Eccomi dunque pronto ad affrontare il tuffo in un altro dei paesi che, si vocifera negli ameni salottini di Kabul, vedono noialtri viandanti con ben poca simpatia: il Pakistan.
La corriera è piena, ma non in modo esagerato. Stiamo attraversando la grande valle di Kabul, poi dovremo arrancare arrampicandoci per circa otto ore sui primi contrafforti dell'immensa catena dell'Hindu-Kush. È l'unica strada che porta al leggendario Khyber Pass, a mille metri di altitudine e che si snoda per una quarantina di chilometri: un colpo di spada fra le montagne, come lo descrisse Kipling. Milioni di viandanti hanno attraversato il Khyber, spostandosi dall'Afghanistan al Pakistan e viceversa e la strada, pur essendo stata percorsa per secoli da genti infinite, compreso Alessandro il Macedone, è ancora pietrosa, stretta e malmessa, piena di tornanti a precipizio su orridi strapiombi, e passa per gole strettissime dove può transitare un solo mezzo per volta.
Uscire dall'Afghanistan non è un problema: le formalità sono ridotte al minimo e il confine sembra una barzelletta: niente caserme, solo qualche baracchetta a difesa dal sole cocente del deserto montagnoso, una stanca bandiera immobile su un palo. Sembra che qui nessuno senta il bisogno di onorare la fama leggendaria del Khyber.
Un paio di capre bazzica intorno alla cruda costruzione di confine, qualche altra leggera protezione di tela e pali ospita i venditori di tè. E di hashish, naturalmente, perché come tutti sanno, nel felice paese che sto per lasciare fumarlo non è propriamente permesso, ma lo fumano tutti e nessuno se ne preoccupa. E poi c'è sempre la sia pur improbabile possibilità che qualche sconsiderato voglia provare a portarsene dietro un po'.
Le guardie di confine, barbute e dotate di copricapi lanosi, per nulla guerresche, sono vestite ciascuna a modo proprio, sia pure con almeno un segno di uniforme, un cappello con visiera, un'antica giacca militare e forse un moschetto, a legittimare l'ufficialità della loro presenza: spulciano i passaporti con un veloce colpo d'occhio, disinteressate e annoiate. Guardano solo se c'è il timbro triangolare che certifica l'entrata nel paese. I bagagli vengono svogliatamente ispezionati senza bisogno di aprirli: qualunque cosa si trasporti può passare incontrollata. L'unico traffico che i rari occidentali pensano di organizzare è quello dell'hashish, ma si sa che è rischiosissimo provarci perché il Pakistan è notoriamente uno stato oltremodo bigotto riguardo all'argomento. Forse una delle cause di questa severità sta nel fatto che il fiorente commercio della merce proibita è nelle mani - si dice - del governo stesso: in effetti l'hashish pakistano viene venduto in tavolette come da noi il cioccolato, con tanto di timbro dorato governativo. Dunque è legittimo il sospetto che stiano proteggendo la produzione locale dall'importazione del molto migliore prodotto afghano.
Commenti
Posta un commento