INDIAN TRAIL 12/a: Le azzurre pietre di Mashhad.

 INDIAN TRAIL 12/a: Le azzurre pietre di Mashhad.

Ci sono alcune cittadine e villaggetti sulla via per Mashhad, ma è evidente che la crescente distanza dalla capitale ha rallentato il processo di occidentalizzazione, come si nota attraversando gruppetti sparsi di case a un solo piano, prive di illuminazione notturna e popolate da persone che dovevano essere lì anche mille anni fa, con scialli e tabarri dai colori che da qui in avanti saranno prevalenti in ogni indumento: marroni, sabbia, azzurri velati, grigi.
Mashhad è piuttosto grande, si trova a circa novecento metri di altitudine ed è la seconda città della Persia per importanza e dimensione, e oggi conta quasi due milioni di abitanti. Anch'essa si è ormai adeguata ai drastici cambiamenti imposti dagli equilibri culturali, economici e militari che in quest'ultimo mezzo secolo hanno trasformato questa parte d'Oriente.
Anche qui naturalmente ci sono moschee e musei, statue di Reza Pahlavi, iconografie imperiali, ma il tutto per il momento appare incongruente perché una realtà più antica, con i suoi ritmi rallentati, i profumi che aleggiano nelle viuzze e i suoni della strada, i richiami dei carrettieri, ancora prevale sulle rare apparizioni di qualche autocarro che sfreccia per i vicoli con grappoli di ragazzini appesi da tutte le parti. In questi vicoli angusti vengono da secoli annodati i tappeti Khorassan, quelli tipici con un grande medaglione al centro e intessuti con una lana morbidissima e disegni fittissimi. Alcuni, mi dicono, possono contare duecentocinquantamila nodi al metro quadro. A volte mi trovo a camminare proprio su questi capolavori, stesi a terra nelle stradine fuori dalle botteghe dove vengono messi a stagionare.
Non sono mai stato particolarmente attratto dalle grandi strutture, soprattutto religiose, e pur apprezzando le meravigliose architetture e i dettagli costruttivi e le spesso geniali soluzioni strutturali, faccio fatica a non ricordare l'impegno delle migliaia di operai che hanno dato vita alle costruzioni: le mani frantumate da pietre precipitate, gli arti fracassati da cadute dalle impalcature, gli occhi perduti a causa delle schegge di pietra che schizzano velocissime sotto i colpi degli scalpellini. Si ricordano i nomi di coloro che hanno commissionato le opere, e quelli degli architetti che hanno disegnato i monumenti, ma nessuno si preoccupa di quante sono state le vittime, e tanto meno i loro nomi. Come si dice, carne da cannone: proprio come in guerra.
La cosa che tuttavia più mi affascina di Mashhad non sono i tappeti e le moschee, che farei fatica a portarmi dietro, ma bensì i turchesi, o firoozeh, come si chiamano qui. Come si sa, si tratta di una pietra dura di un bellissimo e profondo colore azzurro, denso e compatto. Più l'azzurro è intenso e puro e più la pietra è preziosa. Mi addentro nel bazaar principale, dove numerose piccole gioiellerie trattano i turchesi a centinaia, sia nella forma naturale di pietra ancora nella sua radice che in forme più lavorate, fino a collane e anelli e bracciali. Sono davvero speciali. Più di qualche pietra ha le dimensioni di un uovo, perfettamente lucidato e purissimo, senza tracce di ossidi o indebite venature. Le venature che si trovano nelle pietre più scadenti, quelle verdi, di fatto sono molto decorative e di grande effetto, ma deprezzano la pietra. Nelle stanzette degli alberghi, avvertiti dagli albergatori, i venditori locali si presentano e stendono velocissimi la loro offerta di pietre, in genere sul letto, cominciando proprio da piccole panoplie di turchesi verdi con meravigliose venature dorate, che qualcuno mi ha detto essere ossido di ferro: le pietre son disposte in ordine perfetto a suggerire collane, orecchini, braccialetti e diademi, di grande effetto. Il solo difetto è che, come turchesi, non valgono nulla. Bisogna aspettare che i cartoncini su cui le parure sono incollate vengano via via messi da parte finché si arriva alle pietre di un qualche valore, i turchesi firoozeh di cui Mashhad è il principale mercato in Iran. I prezzi sono un po' più alti, sia pure non di molto perché le prime offerte, quelle delle pietre verdi, erano già assai sovrapprezzate. Questo sarebbe il momento di comperare, se se ne avesse l'intenzione: naturalmente dopo un'estenuante trattativa. Quanto a me, io sono un pessimo cliente: sono partito con pochi soldi, e mi prefiggo di arrivare lontano. Al ritorno forse potrò permettermi una pietrolina azzurra da regalare.
Al solito, il luogo per me più importante è la palazzina dove si ottengono i visti necessari a proseguire il viaggio. Mashhad è l’ultima città prima dell'Afghanistan, e la palazzina in questione è visitata da tutti quelli che si inoltreranno nei deserti successivi. C'è anche qualche mercante dalla barba rosso violacea di henné, e qualche dama sovraccarica delle masserizie che ha comperato in Persia, dove i beni di consumo, sia pure limitati, esistono: in Afghanistan, se possibile, sarà tutto ben più spartano.
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