INDIAN TRAIL 7/a: Turchia.
INDIAN TRAIL 7/a: Turchia.
Ormai sono davvero in Oriente. Medio finché si vuole, ma dalle atmosfere già molto diverse da quelle che conosco da sempre. È tempo di cominciare a stare attenti. Il mio look mi espone a una accurata attenzione da parte delle guardie in genere, quelle di confine in particolare: non che io sia esageratamente esotico, ma è chiaro che non appartengo a nessuno dei luoghi che sto attraversando. Certo, ne passano a migliaia di viandanti dall'aspetto un po' trasgressivo, non è più una novità, ma è sempre opportuno stare in campana. La strada che passa da Kesan e Malkara, che sulla cartina mi sembra la più veloce verso Istanbul e che ho la fortuna di percorrere su un autocarro in compagnia di un gruppetto di colleghi viaggiatori, è continuamente sorvegliata da piccole garitte di sentinelle militari armate e a volte interrotta da posti di blocco che mi sembrano del tutto inutili ma che servono benissimo a rallentarci e innervosirci.
Ci vogliono circa trecento chilometri prima di entrare a Istanbul. Si attraversa il Bosforo per arrivare nel quartiere di Sultan Ahmet, dove la maggior parte dei viaggiatori del nostro stampo trova alloggio in alberghetti piuttosto fatiscenti ma dai prezzi raggiungibili. Nella grande piazza si erge la grande e magnifica Moschea Blu.
I ristorantini, il grande bazar, le salette da tè e le spartane ma accoglienti stanzette delle pensioncine offrono un piacevole e quasi sicuro rifugio: la dieta di pane e carote e pistacchi si può temporaneamente interrompere in favore di intingoli dai sapori esotici, sesamo tostato, leccornie varie a me sconosciute: rimane la costante delle cipolle, che accompagnano gli spiedini di shish-kebab, e molte altre specialità in forma di involtini e fagottini multiformi e squisiti.
Il bazar è magico, colmo di miriadi di oggetti luccicanti, ottoni lucidissimi, lampade dai vetri multicolori che illuminano i labirintici passaggi e corridoi, banchi di pietre dure e semipreziose, incensi accesi dappertutto che emanano profumo di sandalo e rosa e molte altre essenze, creando un'atmosfera opaca e lievemente stordente. Tappeti di tutte le forme e colori, tamburi e tamburelli e cimbali e campanelle, giacche e giacconi di pelle bianca di montone con il pelo all'interno, abiti da donna coloratissimi, sciarpe e babbucce dalle forme graziose. Narghilè di ogni dimensione, alcuni enormi, e samovar o simili con tazze e tazzine e vassoi, tutto splendente e ammiccante.
Gli inviti a guardare, esaminare, toccare e comperare sono incessanti. I venditori sanno fin da subito che io non sono il classico turista da strizzare, ma il loro stile rimane inalterato e mi viene offerto più di un tè corredato da dolcetti di sesamo all'interno dei negozietti. Questi turchi sono cordialissimi, e fra l'altro sembra che gli Italiani gli siano particolarmente simpatici. Conoscono persino qualche parola del nostro idioma.
Sono in ammutolita ammirazione della Moschea Blu.
Lascio le scarpe all'ingresso. L'immenso pavimento di pietra è completamente coperto da tappeti fantastici su cui ci si può inginocchiare per devozione. Miriadi di lampade sono appese a mezz'aria a grande altezza e sembrano levitare nel volume infinito sovrastato da un cielo di altissime cupole azzurre: illuminano le delicate decorazioni arabescate che sono per lo più scritte che citano le sure coraniche e creano un effetto grafico elegantissimo. Innumerevoli le piastrelle ceramiche che rivestono colonne e nicchie e pareti, formando complicati mosaici multicolori: ci sono più di ventimila piastrelle color turchese inserite nelle pareti e infinite maioliche blu e verdi che ricoprono le colonne. Nell'arte islamica non sono permesse decorazioni che ritraggano forme umane o animali, perciò ogni tratto è una celebrazione coranica o una forma geometrica. Centinaia di finestre alleggeriscono la colossale struttura che all'esterno è guardata da sei minareti dal tetto a punta, rigorosamente blu.
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