Si rimane aperti fino al sei gennaio, ma dopo le feste gli affari scemano rapidamente e quindi ci prepariamo a rientrare in Toscana. Io impacchetto le masserizie rimaste e Sofia ricompatta abiti e lenzuola: domani saremo di nuovo a casa.
L’anno è cominciato male, ma forse migliora: così è la vita. A febbraio Sofia ed io ci sposiamo. Galoppo a Trieste per acchiappare il certificato di nascita, ritorno a Castiglioni per le pubblicazioni, cominciamo a riassettare casa in previsione dell’arrivo di numerosi famigliari sia da Trieste che dalla Sardegna, da dove verrà per la prima volta la madre di Sofia.
Mia suocera è una signora di tempra inossidabile, forgiata nell’acciaio dell'entroterra sardo. A suo tempo è riuscita a far laureare le tre figlie e il figlio e a comperare un appartamento a Cagliari a tutti quattro, e ci è riuscita con il modesto stipendio del marito, medaglia d’argento al valor militare e pluridecorato. Tanto per fare un solo breve esempio della sua storia, la signora si trovò un giorno ad assistere ad un lancio d’addestramento di paracadutisti vicino a Lucca: suo marito, il babbo di Sofia, ufficiale in comando, da programma sarà il primo a lanciarsi. Le varie consorti stanno laggiù, ad aspettare gli eventi. Si sgancia il primo, eccolo arrivare, piomba come un siluro dritto a terra spiaccicandosi. Nessuno lo sa, ma è un pacco viveri. Leonardo è ancora lassù, fra le nubi: sua moglie, mia suocera, sopravvive all’esperienza: è una delle tante che ha affrontato. L’uomo è stato volontario in Spagna e molti altri teatri di guerra: a modo suo, un eroe: non l’ho conosciuto, non lo vedrò alle mie nozze. Sono però sicuro che mi sarebbe piaciuto, e chissà, magari avrebbe dato la sua approvazione ad un genero un pochino fuori linea.
Arrivano da varie parti: i miei genitori, mio fratello e sua moglie da Trieste e la mamma di Sofia, più nipotini e altri dalla Sardegna. Qualcuno lo piazziamo in casa, ma la maggior parte si sistema in albergo, dal Felici giù in paese. Si preparano svariati piatti della cucina, tradizionale sarda: malloreddus, culurgiones, pabassini… Una vera festa per l’indomani, grande giorno.
Sofia ed io siamo sulla piazza del Comune, eleganti e incravattati. Qualche ospite è un po’ in ritardo, il traghetto dalla Sardegna sbarca a Civitavecchia e poi ci vogliono tre ore fino a casa nostra. Siccome siamo tipi pratici, nell’attesa entriamo un attimo alla Posta per ritirare le eventuali corrispondenze. A sorpresa siamo accolti da un applauso: gli impiegati, al corrente della faccenda, apprezzano l’occasione!
In Comune il sindaco ci accoglie nella sala ufficiale, saluta mio padre dicendogli “Egregio collega”, e ci sposa. Detto fatto.
Riandiamo tutti ai Meli, dove i preparativi sono stati completati e dove ci si appresta ad un banchetto pantagruelico.
Osservo la casa cercando di adottare l’occhio critico del cittadino in visita: siamo in campagna, conviviamo inevitabilmente con piccoli animali di varia natura, qualche ragnatela, qualche scorpioncino… Aspirapolvero ragnetti e altri conviventi, convinco minuscoli esseri ad andare temporaneamente in vacanza altrove. Sono consapevole del fatto che la maggior parte delle persone si dimentica che viviamo in un mondo essenzialmente amico, perciò ne teme le manifestazioni. Ma io non sono qui per educare la famiglia: voglio solo che siano contenti e felici. Perciò le parole d’ordine sono: buon cibo, buon Merlot, simpatia… Agli scorpioncini provvedo io. Una delle mille cose imparate dai miei è di cercare di salvare i minuscoli esseri che si intrappolano nelle umane strutture: papà raccoglieva sempre ragnetti e altri esserini e li metteva fuori dalla finestra, persino con gentilezza. Non ne ha mai parlato, ma è l’esempio che insegna.
Ho la sensazione che questa sia con ogni probabilità l’ultima volta che vedrò i miei genitori quaggiù, nella nostra amata casa toscana. Il tempo passa sempre più rapido e d’ora in poi sarà mio compito andare a Trieste ed essere testimone del progressivo e inesorabile avanzare del destino. Ogni giorno ha le sue luci e le sue ombre
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