Sofia è una bravissima venditrice: consiglia, suggerisce accostamenti, a volte persino dissuade qualche signora che si sta facendo prendere la mano e vuole comperare troppe cose. I clienti si accorgono dell’atteggiamento onesto che abbiamo, e ritornano più volte. E poi c’è la qualità e c’è il prezzo: insomma, un successo.
Il giorno di Natale andiamo a Trieste: è un’occasione per visitare i miei genitori e ho alcune novità da raccontare, non ultima quella del nostro futuro matrimonio: conosceranno Sofia e sono sicuro che ne saranno entusiasti. E poi racconterò un po’ della California, della fiera, dei Meli… È da qualche anno che loro non vengono in Toscana, stanno invecchiando e non hanno più voglia di viaggiare. Nelle mie ultime visite a Trieste mi capitava di arrivare in treno alle undici di sera, buio pesto, e camminavo sul lungomare dalla stazione fino a Piazza dell’Unità, quella splendida piazza che si affaccia sul mare ed è incorniciata da gloriosi palazzi, uno dei quali è il Municipio: nelle strade poche luci, e sulla facciata del Municipio in alto a sinistra due sole finestre illuminate, quelle dello studio di mio padre, allora sindaco della città. Tutti gli altri si erano ritirati da parecchie ore. Lui lavorava indefesso. Tornavamo insieme in macchina verso l’altopiano e la bella casa di famiglia, approfittando del breve viaggio per rapidi aggiornamenti.
Oggi preferisco guidare lungo la costiera, una strada panoramica a picco sul mare, che risplende un centinaio di metri più in basso. Le rocce carsiche si ergono ripidissime sulla sinistra, il loro biancore interrotto dal profondo verde di qualche cipresso e dagli ultimi sprazzi di rosso acceso dei sommacchi che ancora resistono, abbarbicati alla pietra scintillante. Il mare è variegato, sfumature di azzurro e blu intenso, immenso, punteggiato da qualche nave in avvicinamento. Il castello di Miramare spunta all’improvviso laggiù, bianchissimo sperone con alle spalle il vasto mantello del suo parco. In fondo, l’arco di Trieste che si affaccia sul mare.
Mi piace osservare le cose, soprattutto quelle già familiari, attraverso lo sguardo di chi le vede per la prima volta: noto dettagli che mi sono sempre passati inosservati, apprezzo particolari inediti.
La costiera è lunga una decina di chilometri e infine attraversa il parco del castello di Miramare passandogli sotto con due gallerie gemelle. Poi ci ritroviamo a livello del mare e dopo un po’ entriamo in città, per ben presto risalire verso l’altipiano. Costeggiamo l’Università e passiamo proprio a fianco della costruzione color marrone dove ha sede la Facoltà di Fisica. Inevitabile raccontare a Sofia l’evento del mio primo esame universitario, per l’appunto l’esame di Fisica.
Ero iscritto al primo anno di Medicina, visto che all’epoca era impensabile non iscriversi all’Università. La facoltà di Medicina era appena stata istituita a Trieste e non essendoci ancora tutto l’organico dei docenti, l’esame di Fisica era presieduto nientemeno che dal preside della Facoltà stessa: per l’esimio e temuto preside la materia era naturalmente molto importante, mentre noialtri studenti di Medicina la ritenevamo tradizionalmente, ed erroneamente, secondaria. Per quelli di noi che provenivano dal classico poi, era proprio materia oscura.
“Venga, venga. Le farò una domanda che per un futuro medico dovrebbe essere semplice.” “Bene bene”, penso io. “Mi ricavi la formula della viscosità del sangue.” Casco dalle nuvole. Non ho mai ricavato una formula in vita mia, non so nemmeno cosa significhi, ricavare una formula. Sono allocchito, ma devo riprendermi e scuotermi di dosso la sensazione di totale impotenza… Ebbene, se devo ricavare la formula, anche se non ho la più pallida idea di come fare, la ricaverò.
Mi lancio:
“Allora, vediamo, la viscosità dipende dalla temperatura…”
“Bene. Scriva ’T’, per temperatura.” Scrivo sulla lavagna.
“Be’, poi va considerato il tempo di scorrimento nei vasi…”
Sto procedendo a tentoni e guardo il professore per avere conferma.
“Bene bene, quindi un fattore è il tempo. Lo scriva.”
“Ma…anche il tempo comincia con T… come faccio?”
È una domanda idiota che tradisce la mia ignoranza.
“Lo scriva minuscolo.” Ormai è chiaro che come fisico non valgo niente. Procedo zoppicando fra i meandri della viscosità e un passo alla volta e con molto sudore riesco a scrivere la formula completa. Ci metto un tempo infinito, ma alla fine ci riesco e sia pure con un umilissimo diciotto, il minimo indispensabile, vengo promosso.
Non mi sembra l’inizio di una luminosa carriera accademica.
La strada è comoda e sinuosa, la stessa che a suo tempo fu testimone della classica corsa in salita Trieste-Opicina, detta la Monza in salita, di cui ricordo le automobili sfreccianti sulle curve protette da presse di paglia, macchine esotiche dai colori vivaci che rombavano velocissime guidate in passato da piloti famosi come Achille Varzi, Ada Pace e Tazio Nuvolari, che fu il primo a portare al trionfo la Ferrari.
Sia pure più lentamente anche noi percorriamo lo stesso tragitto per abbandonarlo alla famosa Curva Faccanoni -dove tendevano a schiantarsi i piloti più spericolati- per raggiungere il Golf Club e da lì l’avita casa dove stanno i miei genitori.
I miei, come so ormai da qualche anno, stanno decisamente invecchiando. Sono accuditi da due signore croate che adesso
abitano in casa e si occupano di tutto quello che serve, cucina compresa. Mia mamma controlla ogni cosa, ma sta pian piano rilassandosi, ben sapendo che è fatica inutile. Ci sono alcuni particolari su cui non deflette, come l’irrigazione delle ortensie e giardino in genere. Ma ormai accetta le misere ricette che le croate propinano, tanto sa che è inutile insistere con istruzioni dettagliate: queste brave signore sanno pulire, sollevare pesi, guardare la televisione… ma cucinare proprio no, non sono capaci. Mio padre scrive, penso sia arrivato al trentesimo libro. Sta compilando e organizzando le memorie di Mario Nordio, un reporter che fu testimone di molte guerre e fu grande inviato speciale. Il libro è costato mesi di lavoro e pubblicato conta più di mille pagine, ma il titolo sarà: Mario Nordio. Mio padre si considera solo uno storico.
Il Natale dura un solo giorno. Riusciamo a rallegrare la tavola imbandita con uno stinco di vitello e patate al forno da me preparate, e una bottiglia del nostro Merlot sopravvissuta ai rigori padovani.
I racconti indiani suscitano un modesto interesse mentre il matrimonio all’orizzonte attrae un bel po’ di attenzione. Mia madre è felicissima e anche il buon padre si rallegra e congratula. Persino le due badanti croate, che gentilmente si tengono a distanza, sembrano entusiaste. È chiaro che Sofia piace a tutti.
Abbiamo deciso di sposarci a febbraio, perciò dovremo galoppare con le procedure burocratiche.
“Mi raccomando -dico ai miei- organizzatevi per venire alla festa. Facciamo un semplice pranzo ai Meli, ma vi vogliamo tutti!”
“Chiaro. Ci dirai il giorno, e noi ci saremo,”
Baci, abbracci, saluti. Ripartiamo: domattina siamo a Padova e si riapre il banco.
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