INDIAN TRAIL 70: Maria Morealah, la Fonte.

 INDIAN TRAIL 70: Maria Morealah, la Fonte.

Sono qui sulle boscose colline Californiane da quasi un mese. Uno degli aspetti che più mi convincono, visto che in vita mia ho sempre evitato una prossimità con guru e affabulatori e mi sono sempre religiosamente astenuto dall’abbracciare sette e credenze di vario genere, è la sensazione di pulizia spirituale che avverto in questa gente. Il profitto, che in tutti i seminari che mi è capitato di frequentare era una delle condizioni necessarie, qui non è tenuto in nessuna considerazione: come tutti gli altri anch’io verso cinquantadue dollari alla settimana, una cifra davvero modestissima. Siamo nel 1991, non nella preistoria: un buon pranzo in un ristorante di San Francisco costa trenta, quaranta dollari. A New York può benissimo costare sessanta e passa dollari. Qui non solo si mangia dell’ottimo cibo a pranzo e cena, cappuccini mattutini compresi, ma viene anche portata la biancheria in lavanderia a valle, viene pagata la bolletta della luce, il gas della cucina e dei bagni…
L’organizzazione è davvero efficiente, e il merito va principalmente riconosciuto a Wolf che, sia pure con polso d’acciaio, stabilisce i menu in cucina e quindi la spesa da fare in valle, e quasi ogni altro dettaglio della vita comune. Di sicuro in Italia, a casa mia, spenderei almeno il doppio. È evidente che qui nessuno ci guadagna.
Penso che sia il momento giusto per provare a dimostrare la mia gratitudine per ciò che sto ricevendo. E’ vero che ho cantato “O sole mio”, ma penso di poter fare di meglio. In fondo, io sono un costruttore, un creativo muratore con la pietra: la mia idea è di celebrare Life Giver, la fonte dell’acqua da cui dipendiamo, onorandola con una fontana che ne sottolinei la bellezza e l’importanza.
Life Giver è una fonte perenne che, agli inizi della loro permanenza quassù, alcuni membri della tribù hanno sviluppato scavando per decine di metri nella collina fino a raggiungerne l’invisibile origine, riuscendo a portare un flusso d’acqua costante in superficie. Quella è l’acqua che beviamo e con cui cuciniamo e ci laviamo. Anche qui, come da me in Toscana, senza questa fonte perenne non ci sarebbero casa o animali o coltivazioni o umani. Life Giver, per farla breve, è sacra. Sono consapevole del fatto che mettere mano proprio lì richieda l’assenso di tutta la tribù.
Colgo l’occasione di un pranzo a base di giganteschi hamburgers per fare la mia proposta. Ho già un disegno pronto che sottopongo agli astanti, stando attento al protocollo che prevede una certa gerarchia. So che se i capi danno l’ok nessuno oserà obiettare.
“Il maestro italiano offre le sue arti: vuole costruire una fontana dove si possa andare a pregare, un tempio a Morealah.” Wolf si guarda intorno. Morealah è il nome Cheyenne per la dea dell’Acqua. Cenni d’assenso, qualcuno davvero convinto, mi pare. Wolf alza il bicchiere pieno di cranberry juice e fa: “Ascoltate quello che ha da dire il maestro italiano.”
Il maestro italiano, che sono io, è un po’ imbarazzato. Ma capisco che devo sostenere la parte e so bene di che cosa ho bìsogno. “Mi servono pietre: pietre che abbiano almeno uno spigolo a novanta gradi. Qualsiasi pietra, non importa il colore o la forma. Però mi serve almeno un angolo a novanta gradi in ogni pietra.” Vedo che la tribù accoglie l’idea e il compito con un certo entusiasmo. In fondo, è una novità nel quotidiano tran-tran, sia pure un tran-tran cerimoniale.
L’indomani Rainbow e Surya vanno giù in valle a fare la spesa e a occuparsi della lavanderia. Ho finanziato l’acquisto di alcuni sacchi di un composto a base di cemento Portland -qui i miscugli sono premescolati, cemento, sabbia, calce, a seconda del lavoro da fare- e al ritorno mi vengono consegnati. I sacchi qui, a differenza dei nostri che ancora pesano cinquanta chili, ne pesano solo venticinque: cinquanta libbre. più o meno. Un gioco da ragazzi per un maestro italiano.
Per quattro o cinque giorni lavoro per scavare e costruire le fondamenta sotterranee della futura costruzione. Il tutto avviene sotto il livello del terreno, nell’invisibile, perciò l’area è soffusa di un che di misterioso, nulla si vede, nessuno sa cosa io stia facendo e tutti se ne stanno un po’ lontani. Il maestro italiano non va disturbato.
Nella mia richiesta ho dimenticato di specificare le dimensioni delle pietre che voglio, così mi arrivano pietroline di due o tre centimetri e, portati da Sequoia e da Tiger, non pochi massi colossali: tutti però con precisi spigoli a novanta gradi. Non obietto: userò ogni sasso. In fondo, questa è la mia arte.
Piano piano, dopo aver costruito un ponte sotterraneo che unisce le due colonne di fondazione con grossi tondini di ferro che resisteranno a eventuali sismi (sono uno strutturalista e so che la California è terra di terremoti) ecco che comincia ad emergere la parte fuori terra, ben fondata e pronta ad affrontare l’universo mondo.
Dalla casa madre si avvicinano Dancer e Wolf, sono impegnati in un dialogo del quale mi arrivano solo alcune brevi parole: ho la netta impressione che sia fatto apposta. Sento il mio nome, alzo lo sguardo. Wolf si è fermato e Dancer mi si accosta, io poso la cazzuola e mi spolvero le mani, e lei con un’ espressione serissima mi affronta, e capisco subito di trovarmi di fronte a una Maschera da Battaglia:
“Pensiamo che tu ritenga di essere un architetto troppo importante per degnarci della tua attenzione: sei troppo pieno di importanza personale per venire dal tuo Insegnante e deciderti a chiedere qual’è la tua Medicina! Cosa cazzo credi di essere venuto a fare fin qui dall’Italia? Forse a costruire fontane? Puoi costruire dieci fontane, e non avrai ancora capito niente. La tua arroganza ti rende cieco e ottuso. Se pensi di continuare così, ignorando i tuoi insegnanti, puoi anche tornartene da dove sei venuto”
Mi sento distrutto. Quando Dancer decide di confrontare qualcuno è veramente una gelida furia, una lama d’acciaio affilata e puntuale. Rimango in silenzio, palesemente umiliato nella mia ignoranza. Capisco di aver di nuovo inciampato in qualche ostacolo, non so bene se procedurale o sostanziale, e di aver fatto la figura dello scemo. Chiedere che venga rivelata la propria Medicina è un momento di estrema importanza, nel nostro mondo. Non aver pensato di farlo, pur non sapendone nulla, mi appare improvvisamente come uno sgarbo imperdonabile.
L’indomani chiedo a Rain Wolf, che ogni mattina si dedica ai contatti esterni via computer, di ordinarmi due splendide coperte di Medicina Pendleton, quelle con colorati disegni tradizionali. È usanza, quando si va a chiedere la propria Medicina, portare in dono una coperta per colei o colui che presiederà la cerimonia.
Sono molto rare le persone di Medicina in grado di individuare la Medicina dei e delle seekers. Ci vogliono molti anni di pratica e addestramento oltre a ottimi insegnanti e un talento speciale per impararne l’arte. Tutto ciò va onorato, ed è Ross che mi spiega che il dono adatto è una coperta. Le Pendleton ci metteranno due o tre giorni ad arrivare.
Nel frattempo riprendo la costruzione. Faccio due vasi in pietra che accoglieranno piante e fiori, poi costruisco la vasca che conterrà l’acqua e salgo con le base per circa un metro: poi alzo due colonnine che sostengono un archetto che alleggerisce la costruzione. Ogni colonnina ha quattro angoli di novanta gradi, ecco perché mi servono le pietre richieste. Fatto l’arco salgo di un altro mezzo metro e il tutto arriva a un po’ più di due metri. L’insieme è molto carino, nel mezzo delle querce e delle madronas, con un dolce getto d’acqua che crea un laghetto….
Vengono alla spicciolata, si siedono, pregano, celebrano l’acqua, datrice di vita. Il piccolo tempio che ho costruito pare sia sempre stato lì, parte integrante dell’ambiente. Per me è una gioia vedere che tutti la stanno apprezzando. La piccola costruzione ha un nome: Maria Morealah. Morealah, la dea dell’acqua in Cheyenne, e Maria, la dea dell’acqua nel mio mondo. Forse abbiamo dato un piccolo aiuto a unire i continenti.
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