INDIAN TRAIL 67: La voce del Piccolo Popolo.

 INDIAN TRAIL 67: La voce del Piccolo Popolo.

Ho sempre avuto una certa titubanza ad usare alcune parole: cerimonia, preghiera, devozione… Non hanno mai fatto parte del mio lessico. La mia famiglia d’origine ha saggiamente lasciato me e mio fratello liberi di scegliere la nostra strada, anche e soprattutto in campo spirituale. Sono profondamente grato di non aver dovuto risalire la china di credenze imposte e preconfezionate, e anche se in tempi di ricerca ci sono lo stesso aspre e numerose salite da affrontare, ho potuto farlo senza bagagli e senza remore ad appesantire il mio cammino. Questo naturalmente non vuol dire che io abbia potuto procedere libero e leggiadro senza paure, pregiudizi, opinioni, credenze, illusioni e mitologie… Ma scopro che tutti questi, ammesso che siano ostacoli, rimangono malleabili se si manifestano quando l’età consente di scegliere e discriminare: immagino sia ben diverso e molto più difficile liberarsene quando vengono impressi in età inconsapevole ed indifesa.
Visto che qui, su queste sperdute colline californiane da quel che capisco siamo tutti e tutte costantemente in cerimonia, data l’occasione e il luogo in cui mi trovo direi che è giunto il tempo di ridefinire il significato del termine “cerimonia” e di provare a capire di che cosa si tratti davvero. Posso stare tranquillo, non mancherà la materia di studio: mi faranno entrare e uscire da cerimonie quasi senza sosta e per un bel po’ di tempo.
“Seeker, siediti e ascolta.” Chi mi sta parlando è Nuvola, che sta seduta a qualche passo dietro di me, un po’ più in alto insieme a Ross, che è uno degli ufficiali. Oltre a Wolf e Dancer, che sono i capi indiscussi, ci sono Ross, qui presente, e Aquila di Mare che sono entrambi ufficiali. In un clima di costante attenzione capisco che sia opportuno conservare una certa disciplina, e la disciplina sembra prevedere una gerarchia.
La disciplina, dicono le antiche saggezze, è il cerchio che cattura lo spirito.
“Guarda la valle. Ascolta.” Ross alle mie spalle sta in silenzio per qualche minuto. Comincio a sentire un lieve tintinnio argentino, un suono dolcissimo appena avvertibile che attira la mia attenzione. “Continua a guardare laggiù, lontano. Ascolta.” Questa è la voce sussurrata di Nuvola, sembra un alito di vento. Sono affascinato. Il tintinnio continua ed è composto di varie note, e io comincio a entrare e uscire in e da uno stato lievemente alterato.
“Seeker, pensi di essere pronto a prenderti un importante impegno?”
Una parte di me è ancora allerta, teme che mi possa compromettere in qualcosa di troppo grosso, ma… in fondo sono qui per questo. Meglio un salto nel buio che rimanere nell’ignoranza.
“Sì, sono pronto.”
“Molto bene. Questo d’ora in poi e per tutto un anno sarà il tuo compito: ogni giorno ti alzerai prima che il sole si presenti alla tua vista, dovunque tu sia, in viaggio, in casa, o qui a Wild Rose, o in qualche città: con tempo sereno o con la pioggia. Aspetterai che il/la sole nasca e quando sorgerà tu saluterai e gli/le canterai una canzone di ringraziamento, e mentre canti suonerai questo strumentino, che è una voce che chiama il Piccolo Popolo”. Da sopra una spalla mi porge un sacchettino di velluto nero con appoggiata una sferetta d’argento, un centimetro di diametro, che ad ogni piccolo movimento emette una molteplicità di piccoli suoni. “Sei pronto a farlo, Seeker?”
“Sì.” Rispondo. E’ un compito che mi piace, un impegno che mi prendo volentieri.
“Questa è la tua cerimonia personale, e serve a creare una relazione fra te e la stella che ti dà vita. Serve a ricordartene, perché spesso accade che prendiamo la sua presenza per garantita, e ci dimentichiamo di quello che le/gli dobbiamo. Questa cerimonia si chiama: Apprezzamento.”
La voce di Nuvola sussurra: “Rimani seduto in silenzio per qualche minuto. Puoi suonare la piccola sfera e pensare alla tua canzone”.
Se ne vanno e io rimango a guardare il tramonto.
Un suono aleggia fra le grandi querce, è la campana che chiama la tribù a Tree Frog, la casa dove al piano terra ci sono la cucina e la sala da pranzo. Al piano di sopra ci sono due stanze e due bagni, per gli ospiti. Anche Tree Frog è tutta di legno, molto ben costruita e solida, dipinta di un color mattone che protegge le pareti esterne. Gran parte delle pareti della sala da pranzo sono finestrate, con una splendida vista sulla valle e sui boschi circostanti. Ci sono cinque o sei grandi tavoli e tutti si accomodano, chiacchierando e scherzando. Mi sembra un bel gruppo di gente piuttosto allegra. Entrano Wolf e Dancer. Wolf si siede e dice, rivolto a tutti: “Hey, questo è Scudo, l’italiano che aspettavamo. Dategli il benvenuto.” Tutti salutano, dicono Welcome, e poi si mettono in fila ciascuno con il proprio piatto per esser riforniti della cena. Torniamo a sederci, mangiamo una squisita zuppa di cereali e beviamo dei buonissimi succhi di frutta. Poi all’improvviso Dancer alza la voce e fa: ”Bene bene, dovete sapere che Scudo è un musicista ed essendo italiano sarà così gentile da farci sentire una canzone!” O perbacco, sono fregato: se c’è una cosa che odio è essere esposto così, senza preavviso, e davanti a gente praticamente sconosciuta. Grandi gesti di incoraggiamento, sogghigni e sorrisi… Bevo un bel sorso di cranberry e mi alzo. Si fa un silenzio degno di un teatro: prendo il fiato, mi concentro, invoco la Musa e intono: “O sole mio”. Canto l’introduzione, strofa e ritornello e naturalmente mi invento alcune parole, ma mi è già capitato in altre occasioni di dover improvvisare. In fondo ho calcato il palcoscenico del Regio di Parma, posso farcela ovunque, persino qui nelle sperdute colline del nord della California.
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