INDIAN TRAIL 66: Vision Quest. La ricerca della Visione.

 INDIAN TRAIL 66: Vision Quest. La ricerca della Visione.

“Da domani sei in cerimonia.” Chi parla è Tiger, grande e grosso, sembra un grizzly vestito da sergente dei marines. “Alle sette devi essere pronto, sacco a pelo, due paia di mutande. Niente carta, penna, libri…” Se mai avessi conservato un po’ del mio abituale buonumore, adesso sarebbe evaporato. Non so bene cosa significhi ‘essere in cerimonia’, ma sembra roba seria.
La mia tendina è una minuscola canadese che trovo già eretta in un piccolo spiazzo in mezzo al bosco. Le istruzioni sono: “Il tuo cerchio va da lì -tre metri fino a un tronco caduto- a lì -un ciuffo di manzanitas, altri tre metri più in là. Non andare oltre.” È Rainbow che mi istruisce, secca e concisa. È giovanissima, carina e molto decisa. “La latrina sta laggiù -indica un sentierino nella giungla-. Non allontanarti per nessun motivo: io sarò la tua guardia, giorno e notte. Se sei nei guai, chiama. Ci vediamo fra tre giorni.” Questa è una Vision Quest, la ricerca della visione: una delle prime cerimonie fondamentali in cui si suppone che lo/la studente cominci a capire che cosa davvero sta cercando, e perché.
Metto le mie poche cose nella tendina, sistemo il sacco a pelo e la coperta di Medicina che mi hanno affidato, bellissima e piena di colori. Possiedo solo un minuscolo bagaglio con dentro un po’ di toiletries, un maglione e un po’ di biancheria. Chiudo la zip per non far entrare insetti e mi siedo sul tronco, che è il pezzo più importante dell’arredamento. Mi guardo intorno, ascolto, respiro. Alberi, cespugli, uccelli, insetti… c’è un ruscello ma non troppo vicino… ascolto, guardo… un aereo passa ad alta quota… un motore lontanissimo.
Due volte al giorno mi portano del cibo e dell’acqua. Il primo giorno il pranzo viene portato da Moose, l’Alce. “Il Sole è l’Uno - mi dice - ed è da lei/lui che deriva tutta la vita sul nostro pianeta. Anche la tua. Cerca di contemplare questo fatto. Questo cibo non potrebbe esistere senza la/il Sole.” Non ho molto da fare visto che il mio raggio d’azione è di una trentina di metri quadri. Mi sdraio sul tronco caduto e cerco di contemplare… Mai stato un gran contemplatore: sempre stato un uomo d’azione, un costruttore, uno che trasforma un’idea in realtà con le sue mani. Ma adesso sono costretto all’inattività fisica: adesso non posso distrarmi dal compito affidatomi. Tengo a freno la parte di me che di solito tende ad attenuare le tensioni con l’umorismo: voglio esplorare il significato dell’insegnamento.
Si suppone che io metta dell’energia in quello che sto facendo, cioè la ricerca della Visione. Ma non so bene come fare. Combatto la noia, esamino i particolari del mio universo: fra questi c’è una roccia, un masso monolitico alto almeno un metro, largo uno e mezzo e lungo altrettanto. Proprio in cima, dove la pietra è quasi piatta c’è una piccola depressione, una fossetta di una ventina di centimetri di diametro: e lì è nato un alberello, un minuscolo abete alto come il palmo di una mano che fa capolino dalla buchetta e tutt’intorno è circondato dalla vasta superficie del masso su cui ha avuto la ventura di nascere. E’ chiaro che per la pianticella non c’è speranza: fra lei e il suolo c’è un buon metro di roccia indistruttibile. La saluto, le invio una preghiera di incoraggiamento e mi astengo da fare previsioni catastrofiche. Durante il giorno vado spesso a trovarla.
L’occhio viene attratto da un lieve movimento, una leggera ombra rossastra che si ferma sul tronco di confine: è una volpe, uno splendido animale dalla fulva coda rossa e ondeggiante… “Ciao Volpe!” Mi guarda, sorride sotto i baffi. E’ tranquillissima, se ne sta un po’ lì e poi se ne va pian piano scomparendo fra la vegetazione.
E’ sera, qualche uccello canta la sua canzone dai rami della querciona che sovrasta il mio regno. Fa freddo, mi avvolgo nella coperta multicolore che è soffice e calda. Arriva Moose con la cena. Da una decina di metri annuncia a gran voce:“Seeker! Posso entrare?” “Yes!” dico io, molto più fievole. Moose posa il vassoio, si guarda intorno e poi guarda dentro la tendina: “Questo è il tuo universo” mi fa. “Questo è tutto quello che hai. Questo è il tuo spazio: così come lo tieni, ordinato, pulito, o sporco e trascurato, così sei tu. Questo è il tuo specchio.” Sono contento di aver messo a posto il sacco a pelo e la borsa con gli indumenti di ricambio. Moose tace e guarda il tramonto. Poi aggiunge: ”La Terra è il Due. Lei non esisterebbe senza il Sole, e tu non esisteresti senza di Lei/lui. Da dove pensi che arrivi questo cibo? Cerca di contemplare questa realtà. Cerca di essere grato.” Gli dico della volpe. “In cerimonia nulla accade per caso. O pensi che sia passata di là così, magari per sbaglio? In cerimonia ogni dettaglio è importante: ogni attimo è prezioso. Cerca di ricordare tutto.”
Due occhi fosforescenti mi osservano dal mezzo delle frasche: è buio, ho un po’ di paura. Penso “Gatto selvatico”. Penso “Sono in cerimonia, nulla può farmi del male”.
Contemplo, sono entrato in una sorta di sogno ad occhi aperti e ogni tanto faccio qualche passo per andare a trovare la mia abetina e incoraggiarla: vedo che se la cava benissimo. Sul sentiero compaiono due cervi, una femmina molto raffinata e un maschio dall’aria regale. Rimango immobile. Tranquillissimi se ne vanno dopo un bel po’.
Dopo tre giorni e tre notti ecco comparire Rainbow, la guardia che ha dormito e vegliato invisibile per tutto il tempo nel bosco a qualche decina di metri di distanza. Si assicura che io riesca a camminare senza barcollare e piano piano mi riaccompagna alla casa madre, dove Wolf e Dancer sembrano aspettarmi. Io sono lievemente suonato, un po’ fuori fase. “Ha!” fa Wolf dal pianerottolo, “Sei troppo sacro per dire buongiorno! Capisco…” Dancer ride. “Hey, Scudo, vieni quassù che c’è un cappuccino che ti aspetta!” Dancer è molto carina, occhi a mandorla lievemente orientali, lunghi capelli scuri e portamento eretto ed elegante: una gonna lunga e stivali western, camicia e gran sorriso. Salgo timoroso. Mi aspetto sorprese, ma per questa volta c’è davvero un cappuccino, appena uscito dalla italianissima Faema, colmato di schiuma di half-and-half, cioè una via di mezzo fra latte e panna. Un vero toccasana dopo una Vision Quest.
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