INDIAN TRAIL 65: Capo Indiano.
INDIAN TRAIL 65: Capo Indiano.
Avere a che fare con un Capo indiano, o in questo caso uno sciamano Cheyenne, è una faccenda complicata e per me è una bella sfida: è come se dovessi danzare seguendo diversi ritmi che cambiano continuamente: valzer, rumba, fox trot, cha cha cha. Devo abbandonare una consistente matassa di opinioni, o forse dovrei chiamarli pregiudizi, e oltrepassare numerosi limiti che mi ritrovo fra i piedi. Sono disposto, per esempio, ad accettare il fatto che la parola di un Capo, o di una Capa, non si discute? Essendo un europeo con un cospicuo bagaglio culturale di origine greco-classica, una parte di me ritiene che il mondo dovrebbe aderire al concetto di democrazia perché sostanzialmente siamo tutti uguali e avverto l’esigenza di spiegazioni logiche, anche se non necessariamente aristoteliche, prima di adeguare i miei comportamenti a qualsivoglia istruzione. Qui però, se viene data un’indicazione di qualsiasi genere, dal comportamento in cucina al modo di gestire un business, al modo di fare la propria arte, al tipo di relazione che si può avere fra le persone, bisogna obbedire. Non si discute. Sono davanti a una sorta di potere assoluto, una dittatura che si spera essere illuminata, se no siamo nei guai. Devo ricorrere alla mia disciplina interiore per non ribellarmi. Penso ancora: “Sono qui per imparare, non per discutere.”
Wolf arriva rombando a cavallo di un ATV (un quad) verso le otto del mattino. Le casette dove i vari membri della tribù alloggiano sono tutte ben distanziate, e Wolf e Dancer, sua moglie, stanno in una roulotte a qualche centinaio di metri di distanza dalla casa Madre, in mezzo alle madronas e manzanitas. Il sole comincia ad affacciarsi fra le querce secolari, alcune delle quali ogni tanto scoppiano con fragore assordante e piuttosto terrificante. Pare sia normale: l’umidità della notte le gonfia e dopo un po’ esplodono come delle bombe… Io mi sono alzato presto e mi presento ai piedi della scala che porta al secondo piano della Casa Madre, dove Wolf ha il suo studio. Sono intimidito. Ho la sensazione che sentimenti come simpatia, fratellanza, benvenuto, siano del tutto dimenticati.
Siamo al piano di sopra, io sono posizionato davanti a una delle grandi finestre che guardano la valle. Wolf mi fa: ”Pensi che tuo padre sia una persona importante?” Io sono di spalle, girato verso la finestra che guarda la valle. Non so che rispondere. Sì, penso che mio padre sia una persona piuttosto notevole… “È uno dei tanti pezzi di merda, una nullità.” Mi giro e vedo che con il piede calzato da stivaletto cow-boy fa il gesto di schiacciare qualcosa sul pavimento, come fosse una schifezza. “Guarda fuori!”. Guardo fuori. Sono qui per imparare, non per discutere. Sono piuttosto seccato per non dire offeso. Disciplina. Sarà rumba o fox-trot?
La cucina è un ambiente davvero interessante: ci si cucinano i pasti per una quindicina di persone e la disciplina è ferrea. È anche uno dei luoghi dove vengono impartiti insegnamenti, sempre con un piglio di indiscutibile severità. Ammetto che, non avendo ancora avuto modo di imparare da Sofia -che però la sa già lunga in materia- io sono all’oscuro di procedure, tecniche e comportamenti da tenere in una cucina professionale. Qui non si scherza: ogni volta che ci si muove con un coltello in mano si grida, e dico grida, “Knife!”. Ogni volta che si attacca un utensile elettrico, come il frullatore o altro, si grida, e sottolineo grida: “Fang!” Come dire: guarda che sta pronto ad azzannarti. Se ho della roba calda, “Hot stuff!”. Mi viene spiegato che la cucina è il luogo, in una casa, dove avvengono la maggior parte degli incidenti. Una delle cuoche, la giovanissima Rainbow, si gira verso di me e mi fa: “Lo vedi?” Non vedo nulla, ma ha in mano un coltello affilatissimo diretto proprio verso il mio ventre: visto di fronte è invisibile, ma è lì, e se nessuno ti avverte… In cucina sono di solito in tre e si muovono tutti e tutte con gran velocità, frullano di qua e di là con i vari attrezzi, per l’appunto coltelli, o pentole d’acqua calda o altro: è essenziale non stare fra i piedi e avvertire a gran voce di ogni potenziale pericolo.
Ogni tanto compare Wolf, dà qualche istruzione e se qualcosa non va esplode in una confrontazione le cui grida si sentono da lontano. Succede piuttosto spesso: lui considera se stesso uno chef esperto e la cucina un luogo sacro e insegna che la preparazione del cibo è una vera cerimonia che quindi necessita di estrema precisione, pulizia ed energia. Non sopporta che si lavori in silenzio o con approssimazione. Mi ritengo fortunato che il mio turno in cucina non sia ancora arrivato.
Nella foto: una quercia appena esplosa.
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