INDIAN TRAIL 62: Cambiamenti epocali.
INDIAN TRAIL 62: Cambiamenti epocali.
Certo la visita di Wolf è stata importante ed è foriera di interessanti avventure oltreoceano: ma l’occasione ha portato quassù, sia pure un po’ più sobriamente, una persona che ben presto si rivela molto più importante, una donna che nella mia vita è destinata a dare inizio a una nuova era.
Si chiama Sofia ed è una classica bellezza Sarda: lunghi capelli scuri, occhi verdazzurri, bellissimo sorriso. In Sardegna fa il medico, è una neuropsichiatra e si occupa dei vari pazienti bisognosi di cure che si trovano sparsi sul territorio, nei villaggetti e paesini dell’entroterra, oltre che di presidiare l’ambulatorio della Asl.
Ammetto che forse in questi anni di scarsa frequentazione sociale io mi sono un po’ inselvatichito e da parecchio tempo non ho più l’aspetto curato e raffinato dei tempi in cui ballavo il valzer con le debuttanti triestine; ma sono sicuramente rimasto assai sensibile alla simpatia, all’intelligenza e alla bellezza femminile, tutte doti di cui Sofia è ben provvista. Decidiamo di conoscerci meglio: in pratica, ci fidanziamo.
Vado a trovarla in Sardegna e dopo un paio di giorni la accompagno in uno dei suoi giri professionali: l’hanno chiamata d’urgenza in un paesino dell’interno dove a quanto pare il signor Cabras, a lei già noto, ha trascorso la notte girellando ignudo per le stradine del paese e affacciandosi alle finestre terrorizzando i dormienti. Ci inoltriamo nelle campagne per strade tortuose e semideserte fino ad arrivare davanti alla casa del signor Cabras. Il signore è in cortile, vestito con una specie di divisa fra il boy scout e un commando, con anfibi ai piedi e una torcia elettrica in mano. Sta in piedi dentro una tinozza piena d’acqua e con la pila fa segnali verso il cielo. Al fianco ha un coltellaccio da cacciatore, in testa un cappellone da cow boy.
“Dottoressa! Come sta?” Cabras è grande e grosso, guarda Sofia, sorride e sospende un momento le segnalazioni. “Scusi sa, ma devo farli atterrare. Se no non ci vedono.” Chiaro che parla degli alieni.
“Buongiorno signor Cabras. Vedo che sta bene. Senta, venga fuori dall’acqua che entriamo in casa. Le devo parlare.” Sofia ha un tono gentile ma autorevole, di quelli che non ammettono discussioni: non è per nulla intimorita e aspetta che l’omone esca dalla tinozza e si avvii verso casa. “Si tolga le scarpe, che se no sporca tutto.” Obbediente Cabras si libera degli anfibi zuppi d’acqua e dei calzerotti fradici ed entra in casa.
“Senta signor Cabras, capisce che dobbiamo ricoverarla…” Poi vede il coltello e se lo fa consegnare. “Chiamiamo suo fratello, che dice?” Già qualche altra volta il fratello si era prestato ad accompagnarlo in ospedale, a più di un’ora di macchina: non lo ha mai fatto volentieri, perché viaggiare accompagnato solo da un paziente mentale, sia pure suo fratello, lo rende nervoso. L’alternativa però sarebbe un’ambulanza che ci metterebbe delle ore, e lo scandalo conseguente.
Per fortuna, sia pure con aria rassegnata, il fratello si adatta e carica in macchina il signor Cabras, che è calmo e tranquillo.
Mi dice Sofia che a volte i pazienti si ribellano, diventano agitati e violenti. Le cose si complicano: lei ha l’autorità per chiamare i vigili, quando ci sono, ma questi inevitabilmente rispondono che non è affar loro e che bisogna chiamare i carabinieri. Quando arrivano, i carabinieri si affrettano ad affermare che bisogna chiamare un medico. “Ma sono io il medico! Ho bisogno di assistenza per fare un ricovero forzato!” A quanto pare non è nemmeno affare dei carabinieri. Si spera che nel frattempo il paziente si sia calmato e si lasci sedare.
Visitiamo una casa famiglia, altra oretta di macchina: ci stanno quattro persone. Uno di loro passeggia continuamente su e giù per la cucina, un’altra sembra proteggere il frigorifero che una volta aperto rivela molte bottiglie di birra, vietatissime. Stanno tutti bene, prendono le loro medicine…
Alla fine della giornata, pur non avendo fatto null’altro che guidare, io sono esausto. Sono anche preoccupato perché mi sembra un mestiere rischioso, andarsene da sola in mezzo alle campagne a curare gente squilibrata.
Mi arriva una telefonata meravigliosa: Sofia ha deciso di trasferirsi sul continente. Questo vuol dire che dovrà licenziarsi, prendere armi e bagagli, mettere in vendita la sua bella casa di Sassari e venire in Toscana. Pensa di cercarsi una casa vicino a me, magari insieme ad un’amica, e vedere come si evolvono le cose. Le propongo di sistemarsi quassù ai Meli durante la ricerca, e che venga pure l’amica. Sono felicissimo.
Quando le due signore arrivano ci organizziamo per bene: l’amica occupa un appartamentino del piano di sotto, indipendente e appena restaurato. Sofia e io decidiamo che è meglio vivere insieme ed occupare in due il piano di sopra. La stanzina della finestra azzurra è accogliente e luminosa.
È quasi ottobre e io mi sono impegnato a fare visita a Wolf e tribù in California. Ci sono alcuni aspetti della vita in campagna che, avendo i loro ritmi, non possono aspettare i miei tempi. È vero che gli olivi si stanno appena riprendendo, dopo due anni dall’incendio, e non hanno bisogno di nulla: ma la vigna ha quattordici anni ed è in piena produzione. Andrà vendemmiata e bisognerà fare il vino.
Mi siedo davanti al vetusto Atari e comincio a scrivere dettagliatamente come si fa il vino. Comincio dalla vendemmia sapendo che Sofia conosce già l’antifona, ma preferisco essere pedante anche considerando che di sicuro l’amica Giovanna darà una mano: e lei di vendemmie non ne ha fatte mai. Procedo descrivendo la tecnica di sgrappolatura, che avviene ancora passando i grappoli su una rete in modo che i chicchi si separino dai raspi, per poi essere pigiati da una macchinetta e trasferiti in un tino, in cantina. Descrivo la bollitura e la follatura, poi a fermentazione conclusa ecco la torchiatura e il travaso, pentolata dopo pentolata, nel tino d’acciaio. In realtà sono due pagine di dettagliate istruzioni perché cerco di immaginare ogni piccolo problema e dubbio che possa sorgere.
Precorro i tempi, ma devo dire che Sofia ha fatto un vino buonissimo e senza difetti. L’unico problema che ha dovuto affrontare e risolvere è stato l’innesto della testa stringente del torchio sul vitone centrale.
“Bene, amore mio, vado e ci vediamo. Cercherò di telefonare, ma non so come stanno le cose laggiù. Ah!, Quasi dimenticavo: la finestrella azzurra ha uno spiffero, sulla destra. Se ti dà fastidio vedi di arrotolare un po’ di giornale bagnato e di infilarcelo dentro. Ciao. Bacio”. Scoprirò in seguito che le ci sono voluti svariati giornali per tappare il gelido spiffero micidiale che le arrivava proprio sul cuscino. Temo che ci voglia un po’ di tempo prima che Sofia riesca a ricivilizzarmi per bene.
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