INDIAN TRAIL 61: Grandi Capi in arrivo.
Grandi Capi in arrivo.
Wolf sta per arrivare in Europa. Si fermerà a Monaco per un paio di giorni, poi scenderà in Italia dove presenterà il suo ultimo lavoro, Lightningbolt, a Milano e a quanto pare farà una capatina a Firenze e da lì sembra voglia venire fin quassù, ai Meli: se ciò accadesse sarebbe un grande onore e certo una notevole responsabilità. Forse un capo Indiano non può ridurti in cenere con un solo sguardo, ma è meglio essere preparati.
Sarò io ad andarlo a prendere alla stazione di Firenze dove arriverà insieme a Hawk, suo figlio. Sono curiosissimo e piuttosto nervoso: non ho una gran familiarità con i capi indiani. Non conosco le procedure implicite nella diplomazia tribale e ho già commesso una svista trattenendo informazioni sulla piantagione… staremo a vedere.
Wolf avanza fra i pertugi lasciati dai taxi, capelli grigi lunghissimi, gran cappello da cowboy: è alto e massiccio e sembra non vedere ostacoli sul suo cammino. Indossa occhiali scuri ed ha una casacca western sotto la giacca quasi europea. Gli vado incontro.
“Hey, hi, so you are the Italian Chief! Ehi, così tu saresti il capo italiano!” Mi stringe la mano, si toglie gli occhiali e mi guarda con l’unico occhio funzionante. L’altro occhio è ceruleo, sembra acciecato.
“Ehi, ciao, sì, sono Scudo. Che bello vederti!”
Lì vicino c’è Hawk, suo figlio, capelli lunghi, sottile e agile, sguardo attento. “Ciao, sono Scudo: com’è andato il viaggio?” Domanda banale e poco interessante. “Fine, let’s go: bene, andiamo.” Di poche parole questi Indiani.
Wolf è in macchina con me. Mi piace guidare lungo strade dai tracciati antichi e pieni di storia: il passo della Consuma, Campaldino, Poppi… mi viene da raccontare le antiche battaglie, gloriarmi del riflesso di eventi che, a ben guardare, non mi appartengono. L’amico dai lunghi capelli non sembra commosso. Mi lascia parlare, ascolta, poi fa. “Listen, ascolta,: ci sono i simboli, che uniscono e sono punti di incontro, come i crocevia di una strada. Si chiamano Symbolos. Sono i luoghi dove le persone possono incontrarsi, scambiarsi le informazioni, le idee. Poi ci sono I Diabolos: sono i luoghi dove le persone si combattono, dove ognuno pensa di dover proteggere le proprie opinioni, a volte fino alla morte. Tu hai studiato il Greco: sun, insieme, riunire, e dia, separare. Simbolo e Diabolo.” Gira il testone verso il finestrino come se avesse finito. Ma ce n’è ancora. “Tu non puoi ignorare questa realtà: il fuoco del tuo incendio è un simbolo. Sta a te spiegartelo. In un attimo può diventare un diabolo. Sta a te evitarlo. Sei tu il capo.”
Tutto il dialogo si svolge in inglese: capisco bene quello che viene detto, ma c’è qualcosa che mi sfugge. Sono stato promosso capo, ma non so di che cosa né che cosa significhi..
Percorriamo parecchi chilometri fra uliveti e quercete, ormai giunti nei dintorni di casa e le abitazioni sparse sulle dolci pendici della valle si sono via via rarefatte. Ogni tanto Wolf dice: ”That’s beautiful! It really looks like California! Fantastico! Sembra la California.” Immagino che per lui sia un complimento, poi penso: ”Ma che ne sa un Indiano Cheyenne delle bellezze Toscane?” Ma taccio. Non voglio correre il rischio di finire in un mucchietto di cenere.
Proseguiamo e lui non è per nulla turbato dalla strada che si inerpica allontanandosi dai nuclei abitati e si addentra in zone sempre meno frequentate e più selvagge. Arriviamo.
All’occhio buono del vecchio capo nulla sfugge. Girellando per la proprietà dei Meli coglie molti dettagli delle mie costruzioni, nota i lavori in pietra, le cantonate, gli archi, le strutture portanti. È vero, nelle costruzioni io sono uno strutturalista, uno che ha il senso delle proporzioni, dei pesi, delle spinte: ho ereditato questa sensibilità dai miei due nonni, l’ingegnere e il meccanico. A quanto pare Wolf è in grado di cogliere gli equilibri e le astuzie tecniche, quasi invisibili, che io adotto: in fondo lui in gioventù è stato un costruttore di ponti per le ferrovie americane. Quanto a me, so che poche persone sono in grado di notare questi particolari. Mi piace vedere che Wolf sa apprezzare l’arte implicita nei dettagli.
Questa sera ci sarà un po’ di gente a cena, una piccola festa. Bisogna dire che Wolf è una specie di leggenda, una celebrità nell’ambiente, e quindi arriveranno amici da varie località italiane, oltre che Cerva e Drago da Monaco.
Il centro della festa sarà naturalmente lui: ma ogni star ha bisogno di un supporto logistico, qualcuno che si occupi delle miriadi di dettagli che vanno considerati. Luci, tavoli. niente vino, cibo in preparazione nella minuscola cucina del piano di sopra, storie da raccontare nei momenti di pausa e numerose tazze di caffè, che sembra non bastare mai.
Non c’è nulla di formale nella riunione: possiamo rilassarci e ridere alle battute e storie di Wolf, che sono innumerevoli. Lui ha trascorso la sua prima giovinezza nella riserva Cheyenne del Montana, dove sua madre Pearl abitava in una casetta dopo esser vissuta fino a poco prima nei teepee. I racconti di cavalli selvaggi, di cacce, di escursioni nelle praterie e montagne, di cerimonie e personaggi strani ci tengono tutti ammaliati e divertiti: Wolf è un fantastico narratore e riesce perfettamente a evocare e mantenere viva la magia dei suoi racconti.
L’indomani mi prende da parte e mi invita ad andare a trovarlo in California, nel ranch dove vive con il suo gruppo di studenti sulle montagne a nord di San Francisco, nella Mendocino County. E’ un invito, ma suona anche come un ordine.
“You need to come visit us. You need training. Devi venire da noi. Hai bisogno di insegnamenti.”
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