INDIAN TRAIL 60: Storia di un eroe: Capitan Solo

 INDIAN TRAIL 60: Storia di un eroe: Capitan Solo

Si potrebbe pensare che la vita in campagna sia priva di emozioni e che lo scorrere degli eventi, seguendo il naturale corso delle stagioni, sia sereno ed imperturbabile nella sua regolarità, e in effetti di solito è vero. La vita qui è davvero uno specchio molto limpido in cui riflettere la nostra immagine, se siamo disposti a vederla. Ciò però non toglie che a volte in questo spirito di pace avvengano delle tragedie: che forse in apparenza sono di poco conto, ma che in questo piccolo universo hanno un notevole impatto.
Da qualche giorno sono di nuovo a casa ad occuparmi di faccende agricole che non si preoccupano di questioni intellettuali. Potatura della vigna, impostazione dell’orto estivo con i vari sistemi di irrigazione, potatura degli olivi, innesti su ciliegi e meli: decisioni da prendere a ogni istante e mille piccole sfide che richiedono una presenza priva di distrazioni. Mi esercito a mantenere sveglia una seconda attenzione che mi permetta di rielaborare qualche verso o strofa mentre decido quali rami tenere e quali eliminare, quali marze scegliere per gli innesti, quale granatura di pietra adottare per affilare i coltelli da innesto… Cerco di applicare nozioni accumulate nel tempo dallo studio di libri dedicati, che però sono quasi sempre troppo teorici, e dai consigli dei miei alleati della valle: e naturalmente dai miei errori. Esiste un’armonia, una bellezza che via via si viene a formare durante tutti questi lavori. Si sente che alle piante piace essere accudite. Ma, come dicevo, la tragedia incombe.
Le galline moderne, almeno le mie, non covano più volentieri: perciò è molto raro che io abbia delle belle covate di pulcini, che sono una vera gioia per gli occhi e rallegrano il cuore. A sorpresa però due di loro hanno deciso che era tempo di mostrarsi disposte all’impresa, e dopo i canonici ventun giorni una delle due ha prodotto un unico pulcino, Capitan Solo.
Io sono troppo triste per raccontare il seguito, perciò da qui in avanti la storia la racconterà un pulcino di un’altra covata, Ala Scura, che è stato diretto testimone della vicenda.
La storia di un eroe.
Anch’io quand’ero pulcino amavo scorrazzare qua e là per il metro quadro a disposizione, dotato di tutti i comforts, pronto a schizzare sotto le ali protettrici di mamma chioccia in caso di improvviso allarme. Ah, che bello avere un solo giorno di vita eppure saltellare, sbecchettare seguendo le istruzioni della saggia, gigantesca e morbida covatrice che con pazienza e dedizione mi ha riscaldato l’uovo fino a convincermi, dopo ventuno giorni, a rompere il guscio ed uscire verso la libertà di un mondo tutto da scoprire. Anche i miei fratellini sono piuttosto vivaci, tranne l’ultimo uscito, quello col collo spennacchiato, che ancora casca addormentato ogni due o tre passi. Ma posso capirlo, succedeva anche a me quand’ero giovane, qualche ora fa. Da piccoli il sonno arriva improvviso e ci si addormenta così, senza alcuna preparazione: è una fortuna che mamma chioccia abbia piedi enormi ma sensibili, piedoni che sembrano torri gialle e possenti che però non ci sfiorano mai, a me e ai miei fratellini.
In un giro di esplorazione ho visitato la cova qui accanto, un interessante anfratto che sembra disabitato ma che è pieno di cose assai strane e di passaggi segreti, dove solo noi minuscoli riusciamo ad entrare. Spesso si sentono le discussioni e le liti dei polli più grandi, quelli che durante il giorno escono per rientrare la sera: anche noi un giorno usciremo perché chissà quali meraviglie ci sono, là fuori. Mamma permettendo, chiaro.
Ogni tanto arriva un tizio altissimo che riempie la mangiatoia e pulisce la tazza dell’acqua e si esprime in una lingua elementare e con pessimo accento: “Co, coco, coccocco” dice, e secondo lui noi pulcini dovremmo capire cosa vuol dire. Ma così come le nostre gambette sono in grado di saltellare fin da subito, anche il nostro cervellino è sveglio e in grado di capire e tradurre: co co co significa cibo ed acqua. Ovvio.
Intanto urge prendere conoscenza dell’universo qua intorno e familiarizzarsi con il futuro: l’evoluzione non aspetta.|
Oggi, visto che sono ben due giorni che siamo usciti dall’uovo e possiamo ormai definirci anziani ed esperti, mamma chioccia ci ha portati fuori, ma proprio fuori da ogni recinto (fra le cui maglie però riusciamo a passare senza difficoltà) fin nella giungla sconosciuta. Per bere dobbiamo tornare a casetta, ma siccome abbiamo una discreta autonomia girelliamo dappertutto sfrecciando attorno alla grande, amata e calda mamma. Lei ci mostra i luoghi dove si trova del cibo, e con gesti esagerati e sommessi gorgoglìi ci invita a trovarli ed a scavare con i piedoni e col becco. E’ fantastico e poi ogni tanto arriva il grandone che spilla bricioline di pane e ce le fa nevicare tutto attorno, chissà dove le trova tutte quelle cose buone. Se solo la smettesse di fare “co coco cococo”, con quell’accento che lo fa sembrare scemo…
Ma non importa: mamma chiama e noi schizziamo all’istante: non c’è nulla di più temibile di una chioccia arrabbiata, tutta penne arruffate e becco proteso: sconsigliabile contraddirla o disobbedire ai richiami. E poi le vogliamo un gran bene e quando siamo sotto le sue piume ci sentiamo superprotetti da qualsiasi evento sgradevole. Mamma nostra è onnipotente, i pericoli girano alla larga. Non abbiamo paura, anche se corrono voci su faine e altri animalacci che preferirei non incontrare, né ora né mai.
Questa notte, mentre dormivamo sotto le ali protettrici e fra le piumette della pancia di mamma si è sentito un fracasso nella stanzetta qui accanto, dove sta covando una futura mamma mentre un’altra ha appena visto schiudersi un uovo, solo uno perché il grandone, quello che fa “Co co co”, pensando d’esser furbo ha infilato troppe uova nella cova, e molte son rimaste fuori al freddo. Il nuovo pulcino, mi dicono, si chiama Capitan Solo, unico della covata e con una mamma tutta per sé. A proposito, le chiamiamo mamme, ma fra noialtri pulcini ormai si è sparsa la notizia che potrebbero non essere proprio le nostre vere madri, visto che le uova della covata son deposte da diverse galline: Mater incerta, dunque. Però il babbo, quello sì che si riconosce: bello, possente e canterino, con una splendida coda luccicante. Perciò siamo tutti fratelli e sorelle, persino quello un po’ ritardato che continua ad addormentarsi dove gli capita.
Il trambusto è durato un bel po’, ed era chiaro che stava succedendo qualcosa di tragico. Noi ci siamo rincanttucciati e stretti l’uno all’altro, ed abbiamo continuato a dormire.
La mattina dopo si è sparsa la notizia, perché babbo Penna Bianca è riuscito a vedere tutta la scena da una fessura fra le tavole di divisione: un’astronave aliena, nera e lucida come ossidiana e dotata di due sottili ed eleganti linee bianche ad accentuarne la fredda elasticità e la spietata determinazione, ha trovato un passaggio nelle difese di rete elettrosaldata ed è riuscita a penetrare furtiva e micidiale nella casetta dove dormivano i nostri vicini.
L’allarme è stato dato dal giovane ma eroico Capitan Solo, che dopo aver svegliato la madre chioccia –immersa in sogni di granaglie e verdurine- si è avventato contro il nemico agitando minaccioso le alucce e protendendo il becco tenerello. Ma i suoi otto centimetri di piume ed ossicini non hanno spaventato il mostruoso essere che, nonostante la strenua difesa dell’eroico pulcino, è riuscito ad aprire la porta della seconda cova dove la chioccia nota come El Condor (per via del collo nudo) stava tenendo al caldo le sue nove uova, immersa in quella caratteristica trance che esclude l’universo circostante per concentrarsi sulla termoregolazione della prole sottostante.
L’astronave è saettata all’interno della cova e le fauci spalancate su una chiostra di denti si sono fulmineamente chiuse, inglobando tutta la testa del Condor. El Condor ha potuto solo aprire le ali e tentare qualche goffo movimento prima che il nemico le strappasse la testa dopo averla estratta a forza dalla cova dove le nove uova, ormai orfane, si sono ben presto raffreddate lasciando evaporare la speranza di vita che contenevano.
Questione di un attimo, e mamma chioccia di Capitan Solo, frastornata e sconvolta, è stata sua volta azzannata alla gola, strappata e dissanguata in un batter d’occhio. Capitan Solo, unico testimone dell’eccidio, ha capito che anche per lui era finita e che avrebbe continuato il suo viaggio in compagnia della mamma, ma in un altro mondo. Ha smesso di combattere e di becchettare le zampe del nemico, e con un ultimo sguardo all’amato corpaccione materno è scomparso nella caverna che tutto inghiottiva.
Non avrò più modo di conoscere Capitan Solo, uno che rimarrà nella leggenda. Forse per voi un pulcino non conta nulla: ma per me lui è stato il più grande eroe.
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