INDIAN TRAIL 56: Un segno.
INDIAN TRAIL 56: Un segno.
Faccio una visita ai carabinieri: pare abbiano ricevuto una telefonata da un vicino in sedicente crisi isterica che denunciava: “Aiuto, aiuto, c’è fuoco dappertutto. Venite, presto, brucia il mondo…” Giunti sul posto i carabinieri hanno visto un fuoco allargarsi proprio intorno alla casa del vicino, sulla collina accanto alla mia ed un secondo focolaio molto più in basso, dove il sentiero che conduce all’impluvio fra le due colline incrocia il confine fra le due proprietà. Era evidente che l’incendio fosse doloso, perché come è noto è quasi impossibile che un focolaio si accenda spontaneamente, figuriamoci due in contemporanea.
Il fuoco stava ormai risalendo verso la mia casa divorando tutto il versante sud e non c’era modo di fermarlo.
Avvertiti dell’incendio i forestali e i pompieri si sono precipitati sul posto attestandosi sulla strada a nord per impedire all’incendio di divampare oltre il crinale ed estendersi alle macchie senza fine del versante che guarda verso l’Umbria, aiutati nell’impresa da molti volontari arrivati dalle vicinanze, mentre tre elicotteri cominciavano a versare acqua sulla casa, sulla vigna e sugli annessi mantenendoli continuamente bagnati e mettendoli in salvo. Va ringraziata la scarsa solerzia del prete di San Michelangelo che quella mattina era in ritardo e non aveva svuotato il laghetto dove di solito si abbeveravano le sue mucche. Il laghetto, situato un paio di colline più a sud rispetto ai Meli, consentiva agli elicotteri di compiere dei continui giri perfetti, rifornirsi d’acqua e riversarla sulle fiamme: è così che si si sono salvati la casa e il resto. Quanto ai boschi, è intervenuto un Canadair cioè un aeroplano che irrorando le macchie con ritardante, che è un prodotto che non brucia e non evapora, ha soffocato le fiamme e fermato il disastro. Come si vede la Creazione, o la Provvidenza, hanno steso la loro mano e protetto dalla tragedia questo luogo.
Devo risanare questa ferita. Mi aspetta una considerevole mole di lavoro: ci sono centinaia di alberi da abbattere e siccome le parti bruciacchiate, cioè quasi tutte, distruggono il filo della catena della motosega devo fermarmi continuamente per riaffilare; annerito e affumicato procedo a ripulire le zone intorno a casa, e tristemente anche a ritagliare gli olivi rasoterra. Chissà quando rivedrò il mio olio.
Ogni anno e fin dall’inizio della mia permanenza da queste parti ho chiesto e ottenuto dalla Forestale una dozzina di alberi, cipressi, cedri e altre essenze che ho piantato qua e là. Contando solo sulle mie forze, dieci o dodici piante mi parevano sufficienti. Quest’anno però devo fare di più: voglio far capire al luogo che non tutti gli umani sono cretini senza cuore, e che cercherò di risarcire il danno, per quanto possibile. Scrivo alla Forestale chiedendo centoventi piante.
Un mese più tardi arriva la risposta della Forestale: “Egregio, la sua richiesta è stata accolta e le sono state concesse le milleduecento piante da lei richieste. Può venire a ritirarle presso il vivaio… ecc.”
Sono esterrefatto. Avevo chiesto centoventi piante e me ne danno milleduecento: se avevo bisogno di un altro segno del destino, eccolo qua.
Milleduecento piante sono un po’ troppe per pensare di poterle piantarle da solo. Tutto il progetto cambia dimensione e prospettiva, a cominciare dal trasporto degli alberelli dal vivaio fino a casa. Ogni pianticella ha le radici contenute in una fitocella, cioè un involucro di plastica pieno di terra che pesa da uno a due chili e da cui spunta la neonata: sono piante forestali, hanno due o tre anni al massimo e quindi sono alte circa trenta centimetri. Ci sono centinaia di pini, perché questa è l’epoca in cui la Forestale ama ricoprire le alture con essenze sempreverdi e di veloce accrescimento anche se questo implica un drastico cambio nell’ecologia della zona, e non sempre per il meglio. Ho insistito per ottenere cipressi, cedri, noci e ciliegi, e in effetti ce ne sono moltissimi. Se in origine pensavo di fare il trasporto -centoventi fitocelle pesano circa duecento chili- con la macchina, adesso si parla di più di una tonnellata e dovrò affittare un camion. Devo anche chiamare qualcuno che mi aiuti a scaricare le piante, una alla volta, per poi sistemarle in tagliola, ovvero in una trincea zappata nella terra fresca dell’orto, dove posso annaffiarle in attesa del trapianto.
Ogni alberello, tolto dalla plastica e conservando il pane di terra, andrà sistemato in una buca di una quarantina di centimetri. La regola forestale vorrebbe che fra pianta e pianta ci fossero due metri, ma io decido che sono troppo pochi: tre metri a mio avviso è il minimo indispensabile, e mi sembra ancora poco. Forse ci si aspetta una grande morìa, o uno scarso attecchimento: certo è che qualche pianta fallirà, ma quelle che sopravvivranno avranno bisogno di spazio.
Anche una buca di quaranta centimetri, moltiplicata per mille, significa un sacco di lavoro: anzi, un’impresa per me impossibile. Ma….
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