INDIAN TRAIL 55: Il grande incendio.

INDIAN TRAIL 55: Il grande incendio.
I miei olivi hanno una loro storia da raccontare e la riassumo in breve: abbandonati da molto tempo, per quattordici anni li ho seguiti, potati e incoraggiati fino a farli rendere da zero a venticinque chili d’olio. E’ una quantità sufficiente per le necessità casalinghe, se l’olio si usa principalmente per condire e con sobrietà per cucinare. È chiaro che il valore affettivo aggiunto è notevole e senza prezzo.
Tutto procede faticosamente bene fino al 1985, quando improvvisamente la temperatura scende a meno sedici per tre notti di seguito: troppo per gli olivi. La tragedia colpisce gran parte della Toscana e immagino anche altrove, obbligando i proprietari a tagliare quasi tutte le piante rasoterra. Una strage. In mezzo agli innumerevoli tronchi abbattuti e ramaglie sparse si possono immaginare i cuori spezzati e le lacrime amare.
L’olivo per fortuna è dotato di una formidabile vitalità che gli permette di ricacciare molti polloni dalla base, qualora venisse tagliato. Il primo anno bisogna lasciare tutti i polloni perché le radici, abituate a una folta chioma, hanno bisogno di tutte le foglie possibili. Il secondo anno si selezionano i polloni più venienti, e il terzo anno se ne lasciano tre o quattro. Non è una regola fissa e ognuno sceglie il proprio metodo di allevamento. A volte è persino meglio ripiantare piante nuove
Eccoci dunque nel 1988, gli olivi gelati hanno ricacciato e tentano di riassumere un portamento dignitoso. È agosto e io sono a Londra per seguire un seminario, il Forum, che dura una decina di giorni e di cui confesso ricordo pochissimo.
Ritorno in Italia, prendo la macchina e mi fermo al distributore giù in paese per rifornirmi. Il benzinaio mi conosce bene, mi saluta e fa:
“Oh, ma cosa è successo lassù?” Io trasecolo e impallidisco.
“Perché? Cosa c’è? Cos’è che è successo?” L’amico si ritrae un po’ confuso, pensa che io sia al corrente di qualcosa che palesemente ignoro e teme di aver fatto una gaffe.
“Niente, niente, mi pare che ci sia stato del fuoco… Lassù, dalle tue parti…”
Sono allarmatissimo. Guido lesto su per i tornanti della provinciale, svalico e scendo verso l’Umbria, sgusciando fra le molte curve che mi portano sempre più vicino a casa. Sono molto preoccupato: se c’è stato un incendio, e siamo in agosto, la faccenda può essere davvero grave.
Dopo l’ultima curva avverto un odore di bruciato e guardo a sinistra verso l’alto, dove sorge la mia casa: quand’ero partito era immersa nel verde delle querce e delle ginestre… Tutta la collina è bruciata. In seguito si saprà che sono andati in fumo centotrenta ettari. Lassù, in mezzo ad un deserto nero e marrone sorge la casa, sovrastata dall’azzurro cielo.
Ispeziono i dintorni: la casa è salva, la vigna, tranne l’ultimo filare che è carbonizzato, è salva. La catasta di legna appoggiata alla casa non è stata raggiunta dal fuoco che per fortuna si è fermato a meno di un metro di distanza: se no sarebbe bruciata anche la casa. Il piccolo allevamento di lombrichi ai piedi della vigna sta ancora emettendo fumo, e sono ormai sette giorni che brucia visto che l’incendio è divampato il tredici di agosto, una settimana fa. Addio lombrichi. Gli olivi sono bruciati: addio olio. Sono bruciate quasi tutte le fruttifere come le mele, le pesche, le susine che avevo piantato e accudito. Moltissime delle querce, ornielli, carpini, ciliegi…. Tutto andato.
Me ne sto affacciato alla finestra azzurra, quella che sembra ti faccia volare, e guardo la mia collina immobile, le querce scheletriche e senza una foglia, i prati anneriti e polverosi. Mi chiedo se questo non sia un segno, un ammonimento del destino: forse è tempo che me ne vada, forse anche questa pagina si è esaurita e devo cambiare vita. Da letture e insegnamenti antichi so che il fuoco è un/una grande purificatore/purificatrice. Nel suo distruggere porta con sé la rinascita, il risorgere su nuove fondamenta. Ma oggi, mentre guardo la distruzione dei miei sogni, mi riesce difficile accogliere lo spirito della rinascita. Oggi osservo un mondo sospeso, avverto con angoscia il tremendo silenzio di insetti, di uccelli, di migliaia, forse milioni di piccoli animali che hanno dovuto soccombere… C’è un velo di lacrime che mi offusca la vista.
All’improvviso intravvedo un movimento, laggiù, dove fra due querce annerite sorge un grande acero campestre che allarga le sue branche depauperate, una scultura dalle linee brune, eleganti e morenti. E’ un grande uccello nero: mi sembra grande ma in realtà è un piccolo merlo che è venuto a posarsi su un ramo dell’acero facendolo sussultare sotto il suo minuscolo peso… Nell’aria immobile e nel silenzio totale mi pare un miracolo. Sento che è questo il vero segno. Questa è la vita che ritorna e mi rammenta che io sono un guardiano e quale è il mio compito: rimanere e combattere
May be an image of nature and tree
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