INDIAN TRAIL 51: Manhattan.
INDIAN TRAIL 51: Manhattan.
È un bel po’ di tempo che non mi muovo e decido di fare una gita a New York, dove non sono mai stato. Mi porterò anche la valigetta con le incisioni. Ho organizzato i miei tempi in modo da poter essere di nuovo in Europa per il concerto di Lyon, fra una ventina di giorni.
Joy se ne starà contenta con i suoi cucciolini, accudita dalla signora Ottavia che ogni giorno verrà fin quassù a pascolare il suo piccolo gregge e a giocherellare con la bella madre ed i tre cuccioli. Il quarto airedalino è stato cooptato, come da tradizione, dalla proprietaria del maschio padre che è venuta a sceglierselo ed ha usato il noto metodo del battito di mani: si battono forte le mani ed il primo cucciolo che si avvicina si suppone sia il più curioso e coraggioso.
Visto che l’aereo si fermerà a Londra per un transfer, penso che sia una buona idea contattare Janet, una mia cliente della fiera di Arezzo che vive lì ed è la segretaria del capo del Print Department, cioè la sezione stampe originali del celebre Victoria and Albert Museum. La chiamo dall’Italia, ci accordiamo e quando sono a Londra ci incontriamo e lei mi fa entrare nel sancta sanctorum del luogo dove sono raccolte e conservate le opere dei più grandi maestri dell’arte incisoria e dove rimango catafratto ad ammirare le enormi quantità di lavori inestimabili di Dūrer, Rembrandt, Picasso…Una splendida anticamera dove ci si sofferma volentieri in attesa del seguito. Sono ipnotizzato e un po’ stordito, come accade nei musei, e sobbalzo quando Janet mi chiama e mi fa entrare in un ufficio dove un signore di mezza età se ne sta dietro una enorme scrivania con in mano uno dei miei esemplari più piccoli, che io chiamo cioccolatini, e sorride. I cioccolatini sono stati una grande idea: la minuscola dimensione, tre centimetri, e i soggetti simpatici e perfettamente incisi ne fanno un best-seller in ogni fiera e galleria che li ospita. Anche il prezzo modestissimo è di aiuto: chiunque può permettersene uno o due senza soffrire.
Il signore in questione è il capo del dipartimento e dopo aver esaminato una decina di soggetti -animalini, casette, fiori, oggetti vari- alza lo sguardo, si alza e mi stringe la mano e fa:
“Molto belli, una bellissima idea. Molto accurata tutta l’esecuzione, bravo. Grazie per avermi permesso di vederli… Naturalmente lei saprà che il Museo acquista solo in casi speciali e solo opere antiche. Ci sono rare eccezioni di autori molto famosi, ma la ringrazio della visita.” Riunisce i miei cioccolatini e li dà a Janet che me li passa e mi accompagna fuori.
Non pensavo certo che il Victoria comperasse le mie incisioni: mi piaceva però l’idea che venissero viste ed eventualmente apprezzate da qualcuno che passa la vita fra le opere dei più inarrivabili maestri. Ringrazio Janet, le regalo una coppia di esemplari e mi avvio verso Heathrow, pronto per trasvolare l’Atlantico.
New York. Percorro la Quinta Strada, la famosa Fifth Avenue. È una delle rare strade in cui l’aria non puzza troppo di gas di scappamento condita dalle esalazioni di migliaia di condizionatori, oltre che con rispetto parlando, di escrementi di cane. Ci sono cartelli dovunque che minacciano cento dollari di multa per i proprietari di cani sporcaccioni, ma non mi pare che funzionino. Fifth Avenue è una delle vie più chic della città e vanta una infinita teoria di grattacieli ciascuno più alto e più imponente dell’altro, oltre a negozi e atéliers come Tiffany, Gucci, Cartier e svariate gallerie d’arte, in una delle quali decido di entrare con la mia valigetta di acqueforti. Devo farmi forza e vincere svariate resistenze interne perché io odio sollecitare l’attenzione della gente: mi riesce abbastanza bene sulla scena, come nei concerti o in teatro, ma qui sono a Manhattan e devo farmi coraggio: se non mi do da fare io sarà molto improbabile che qualcuno si accorga della mia esistenza.
Ho dato un’occhiata alle vetrine del negozio. Vedo litografie di Dalì, di Mirò, di Chagall… Il mio occhio è piuttosto allenato a riconoscere gli originali dai falsi: conosco le tecniche e so dove e che cosa guardare. Sono tutte false, le preziose litografie esposte senza vergogna con prezzi che si aggirano sui mille dollari. Entro. L’occhialuto signore seduto dietro alla cassa mi guarda, vede la mia valigetta e mi fa: “Immagino che voglia mostrarmi delle stampe…”
“Be’, sì, sono acqueforti originali…”
“Italiano eh? Ascolta, artista, senza che tu nemmeno apra la valigetta so già che hai dei bei lavori: non saresti venuto dall’Italia in caso contrario. Ma io vendo firme. La qualità non mi interessa, arrivederci.”
Vende firme, l’amico, e per di più false. Che gli importa dei miei cioccolatini, per originali che siano?

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