INDIAN TRAIL 47: Pleyel.
Pleyel
Nevica e non poco: mezzo metro di neve dappertutto e dove il vento sospinge la neve i cumuli sono alti un metro e mezzo. Spalo la neve per aprire il sentierino verso il pollaio, dove le gallinelle mi guardano preoccupate perché non hanno il permesso di uscire e per quanto ben protette dal nuovo piumaggio che le rende belle ciccione e siano vestite in modo adeguato all’inverno hanno l’aria un po’ infreddolita. Naturalmente hanno smesso di fare le uova, ma voglio loro bene lo stesso e perciò ricevono supplementi di ogni tipo di granaglie e l’acqua è protetta con sacchetti di strati antigelo.
La neve mi blocca quassù per una settimana. È normale, nulla di strano, accade tutti gli anni una paio di volte all’anno. Il fuoco è acceso nel camino, il fiasco di vino è a portata di mano, un cosciotto di agnello sta rosolando nel forno. È vero, sono solo soletto in cima alla montagna, ma mi sento benedetto e baciato dalla fortuna. La mia meravigliosa chitarra Martin è sempre a portata di mano, e scrivo un po’ di canzoni, ispirate dall’intimità della situazione. Nasce così “Gennaio Rivisitato”, e poco dopo “Aurelia Sport”.
Aurelia Sport è un “funky” antelitteram nel panorama musicale del tempo, per trovarlo oggi occorre fare un’operazione archeologica. Troppo carina. La compongo sul pianoforte, ma prima…
È una gelida serata novembrina, buio fitto e pioggerella insistente. Fuoco acceso, casa nel mezzo del nulla. Bussano alla porta, sobbalzo, chi se lo aspetta un visitatore a quest’ora… “Buonasera, che tempo eh? Senta, è qui la Casa dei Meli? Arrivo da Firenze..” “Sì, sì, è qui. Che c’è?” “Senta, c’è un pianoforte giù in strada. Non so se riesco a portarlo fin quassù…” Gli amici fiorentini parenti di Gilberto e Benedetto mi hanno fatto dono di un pianoforte che non usano e che adesso sta sulla provinciale tuttora sterrata: “Ma…E’ venuto a piedi? Fin qui?” Ci vuole un chilometro e mezzo di trekking in salita per arrivare a casa a piedi, sia pure con la nuova stradina: l’amico se l’è fatta al buio e sotto la pioggia. Un eroe: per fortuna l’arte non conosce confini.
“Eh, sì, non sapevo bene dove andare. E poi il furgone non credo che salga…” Salto sulla Land Rover che per il momento è ancora a disposizione e scendiamo verso la provinciale. Trasferiamo il pianoforte dal furgone alla Land Rover, un vero divertimento, lo leghiamo, do un bel po’ di quattrini all’amico e lo saluto. Su per la collina, pioggia battente, un Pleyel 1850 legato dietro… Temo che sarà necessario riaccordarlo. Un pianoforte Pleyel, firma prediletta da Chopin, che ha ben più di un secolo di vita è uno strumento delicato: l’arpa, cioè la struttura su cui sono sono innestati i bischeri che permettono il tiraggio delle corde, è di legno. In seguito nei pianoforti moderni le arpe saranno di ghisa, molto più stabili, ma chiaramente con diverse risposte armoniche. Il legno del Pleyel vibra con eleganza, ma come tutti i legni si muove ed è molto sensibile ai cambiamenti climatici, di umidità e temperatura. Il mio nuovo pianoforte è anziano e merita attenzione: faccio venire da Arezzo l’accordatore, il maestro Vieri, un vero professionista che una volta superato lo shock di trovare un pianoforte museale in cima a una sperduta collina, si rimbocca le maniche e mette a posto dettagli essenziali come le stringhette di pelle che trasmettono il movimento dal tasto alle leve… troppo complicato e noioso da spiegare. Di fatto lo sistema e decide di accordarlo un tono sotto la norma, perché i bischeri non possono sostenere a lungo l’accordatura tradizionale.
Per vie imperscrutabili Ennio Melis della Rca deve averne avuto sentore perché con un telegramma infuocato mi convoca a Roma ricordandomi che sarebbe mio dovere ottemperare al contratto in esclusiva che ho con la sua casa discografica. È vero che da due o tre anni sto snobbando la Rca, e che gli artisti notoriamente godono di una certa elasticità, anche se assecondata con riluttanza dei vari funzionari: ma ci si aspetta che producano canzoni oltre, come nel mio caso, a carote e cipolle.
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