INDIAN TRAIL 45: Piccole grandi illuminazioni.

 INDIAN TRAIL 45: Piccole grandi illuminazioni.

Dopo un paio di edizioni del Mercato Antiquario di Lucca dove sono andato in motocicletta con il banchetto legato sul portapacchi mi sono conquistato un posto stabile, sia pure alle spalle della fontana centrale che mi spruzza e irrora schiena e incisioni a ogni sbuffo di vento. Non importa: gli affari vanno bene e sono disposto ad affrontare ogni difficoltà, vigili compresi.
Grazie ad un esame scritto e orale sostenuto alla Camera di Commercio, esame che ha dimostrato la mia sia pur superficiale conoscenza della materia fiscale e del genere che intendo vendere ho preso la licenza che rende ufficiale il mio diritto a vendere sui luoghi pubblici: l’assegnazione di un posto stabile è però tuttora nelle mani di alti poteri invisibili e sottosta a criteri imperscrutabili. Nel frattempo devo giocarmela con i pubblici ufficiali, detentori di un potere assoluto.
La relazione con Claudia è andata lentamente esaurendosi e adesso lei sta a Firenze. Non è stata una faccenda semplice: qualche anno di convivenza e di interazione in varie direzioni, business compreso, ha creato un legame che io avrei pensato essere eterno. Nella vita ho sempre pensato che le mie relazioni con le donne fossero eterne, che fossero per sempre, salvo accorgermi che non è così. Tuttavia il business continua a funzionare sia pure a distanza e oltre alla stampa adesso produco qualche matrice in prima persona. Non ho il talento e nemmeno il background tecnico di Claudia, ma ho una discreta mano e voglio rendermi autonomo, almeno in parte.
Le fiere mi servono anche da distrazione perché una casa grande e isolata come i Meli tende a far echeggiare i momenti di solitudine e ad amplificare i silenzi e la vastità degli spazi deserti. La solitudine è una grande maestra e fornisce uno specchio nel quale vedo riflesse immagini di me stesso che altrimenti mi rimarrebbero nascoste. Ed è così che un giorno mentre sto lavando i piatti ho un’intuizione che, oserei dire, mi cambia la vita.
Quello che segue è un intermezzo psico-esperienziale un po’ complesso, perciò ci vorrà un po’ di pazienza. Spero di riuscire ad essere chiaro.
Lavare i piatti è un’attività che non mi piace e non mi dispiace: mi lascia indifferente, equanime. Lo stato generale in cui attualmente mi trovo è piuttosto sofferente, per cui lavo e insapono e risciacquo e mentre guardo fuori dalla finestra mi accorgo che pur essendo primavera e pur vedendo i ciliegi in fiore e gli uccellini svolazzare tutti contenti, lungi dal rallegrarmi dipingo tutto di grigio come se non me ne importasse nulla e come se fosse il mio stato d’animo a coprire con un velo di malessere tutto il creato. Ma all’improvviso ecco accadere l’inaspettato: ‘vedo’ il meccanismo grazie al quale la immagine percepita dei fenomeni cui assisto, passando attraverso i sensi, si posa sulla cima di una zona del mio cervello che mi appare come una specie di colle glabro, una collinetta da cui, seguendo un tracciato preesistente, il rivolo della percezione scende. Questo è l’attimo in cui il fenomeno finora neutro viene giudicato, ed e’ la forza dell’abitudine che lo valuta e ne decide la direzione. È una scelta automatica determinata da precedenti esperienze simili, forse addirittura dalla primissima esperienza analoga che ha tracciato il primo sentiero creando l’invito. Per quanto, nella sua rapidità, sia inconsapevole si tratta sempre di una scelta, e da essa deriva la risposta emotiva che io avrò nei confronti del fenomeno cui assisto, e il conseguente stato d’animo. Tutto questo fenomeno avviene in un lasso di tempo infinitesimale, brevissimo e per vederlo in azione e coglierne il meccanismo bisogna essere molto veloci. Nel mio caso la velocità mi è data dallo stato di equanimità verso il lavaggio dei piatti. Avendone scoperto l’automatismo, posso intervenire intenzionalmente e scegliere un diverso tracciato da cui far scendere l’esperienza: e quindi avere una diversa risposta emotiva. Capisco allora che le mie emozioni sono in realtà una mia scelta, sia pure inconsapevolmente automatica: perciò ne sono responsabile. E siccome prendersi la responsabilità di qualcosa equivale ad acquisire il potere sulla medesima, mi accorgo che se voglio variare lo stato d’animo derivante da qualche evento mi è possibile farlo: soffrire non è obbligatorio. E’ un’abitudine. La scelta è mia.
Si solleva un velo, l’umore cambia all’improvviso, il cielo è di nuovo azzurro e i ciliegi brillano al sole coperti di fiori. Non sono più all’effetto dei miei stati d’animo. Sono libero.
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