INDIAN TRAIL 44: The Budgerigar Society.

 INDIAN TRAIL 44: The Budgerigar Society.

The Budgerigar Society.
Ho un caro amico che mio padre mi ha presentato tempo fa, un artista dotato di grande estro creativo e di una buona dose di coraggio nelle imprese che inventa e realizza. Si chiama Romano e ha aperto un bel negozio di e per animali in pieno centro, a Trieste: in città è nota la sua passeggiata pomeridiana fra i grandi platani del Viale con al guinzaglio un puma, e nel suo negozio si possono ammirare animali davvero inconsueti, come un pitone bello grosso che penzola da un ramo in vetrina, o una mangusta che un giorno gli ha squarciato una mano, immagino scambiandola per la testa di un cobra.
Romano mi offre un’idea che mi piace fin da subito: allevare pappagallini. Si tratta del piccolo ondulato, quel simpatico pennuto che moltissima gente tiene o teneva in una gabbietta e a volte viene lasciato libero di svolazzare qua e là in giro per casa. Pare che un negozio ben avviato ne venda cinque o sei al giorno e che sia piuttosto difficile procurarseli perché in Italia ci sono pochissimi allevatori: bisogna farli venire in aereo dal Giappone, chiusi a decine in basse scatole con due spugnette imbevute d’acqua e una reticella per l’aria. Arrivano in pessime condizioni e a volte nel viaggio ne muore qualcuno. L’idea di allevarli mi sembra buona e se esiste un mercato che li acquista può diventare un’interessante fonte di guadagno. Meglio avere più frecce nella faretra, qualora le fiere incontrassero difficoltà.
Trasformo il capannone dove un tempo alloggiavano i capponi: apro tre grandi finestre e costruisco due belle e ampie voliere; fabbrico una decina di nidi di legno col tettuccio apribile, il buco tondo ed il paletto dove posarsi e li attacco al muro. Inserisco nella prima voliera dei rami e dei trapezi, la mangiatoia e il contenitore dell’acqua. Poi compero da Romano dieci coppie di pappagallini, li porto in Toscana e li libero nella voliera, dove si divertono e volano esplorando tutti gli anfratti ed i nidi. Miglio e panìco nelle mangiatoie e un po’ di ossi di seppia infilati nella rete della voliera completano l’accoglienza. I maschi si distinguono perché hanno la parte sopra il becco di colore blu, le femmine ce l’hanno marrone. Sono tutti giovani e pieni di energia e fra poco si formeranno le coppie, che nel mondo degli ondulati durano tutta la vita.
I primi ovetti vengono deposti ben presto, ed entrambi i genitori covano a turno dentro il nido: uno cova e l’altro si nutre e si sgranchisce le ali e ondeggia sulle altalene chiacchierando con i vicini. Hanno una notevole vita sociale, e sono piuttosto rumorosi. Ogni tanto provo a sbirciare nei nidi dal tettuccio apribile, e dopo un po’ mi accorgo che in fondo al nido nel gruppetto di quattro o cinque uova si sta muovendo un esserino minuscolo, grande come l’unghia di un pollice. Ha una testa enorme, due gambine esilissime e due piedoni spropositati. Viene nutrito di continuo da uno o l’altro dei genitori, che rigurgitano nel beccuccio il cosiddetto latte di pappagallo, cioè una pappetta di miglio predigerito. Dopo due giorni l’amico è grande il doppio, e si schiude un secondo uovo. Quattro o cinque implumi animalini rosa di dimensioni crescenti se ne stanno pigolando nel nido eternamente in attesa della pappa che viene somministrata a turno, prima al più vecchio che riceve semini quasi interi e poi via via gli altri a decrescere, con pappe di consistenze diversificate. Quando sono cresciuti abbastanza da poterli maneggiare un po’ senza fare danni, li prendo uno a uno, me li poso sul palmo di una mano al calduccio perché sono ancora ignudi e gli massaggio i piedoni, dito per dito per liberarli dalle deiezioni che si sono appiccicate e che formano un malloppo che bisogna togliere a .scanso di malformazioni. Uso l’olio d’oliva per ammorbidire il tutto, e li rimetto nel nido
Mi iscrivo alla Budgerigar Society, l’organizzazione inglese che riunisce i numerosissimi sudditi britannici appassionati allevatori di pappagallini ondulati e ricevo mensilmente la rivista loro dedicata che sulla quarta di copertina porta il disegno del pappagallino ideale, bello e perfetto. La stirpe inglese produce animali molto più grandi di quelli cui siamo abituati, direi esagerati, e la rivista contiene informazioni istruttive grazie alle quali apprendo che, originari dell’Australia, gli ondulati all’inizio erano verdi e gialli, naturalmente con le varie ondulazioni che li caratterizzano. Ad un certo punto è comparso un gene inibitore del giallo ed ecco apparire la varietà azzurra (cioè verde meno giallo) e bianca (cioè giallo meno giallo). Poi sono emersi i geni del grigio e del viola, che sommandosi al verde e al blu hanno prodotto verde scuro e verde chiaro e blu intenso, viola e azzurro pallido… Questi esemplari sono rari e quando compaiono nella voliera, dopo aver lasciato che da adolescenti si divertano fra loro per un paio di mesi svolazzando qua e là li sposto nella voliera accanto, nella speranza che creino coppie produttrici di arlecchini, arcobaleni, petti a bande colorate ed altre leccornie pappagallesche.
Il secondo anno ho circa sessanta nidi e comincio a vendere abbastanza. Il lavoro è semplice e mi impegna mezz’ora la mattina e la sera, ed è un divertimento osservare le famigliole colorate impegnate nei loro via vai.
Il terzo anno va a gonfie vele ma ci sono nubi all’orizzonte: Claudia comincia a star male, si sente affaticata e svogliata, non si capisce che cos’abbia. Pensiamo alle varie cause possibili, un morso di zecca, un graffio di gatto, la psittacosi, e dopo una lunga serie di esami e persino un ricovero in ospedale che si rivela inefficace nonostante il fiume di antibiotici che le propinano, scopriamo che probabilmente reagisce alle particelle proteiche che stanno in sospensione nelle voliere e che provengono da quella sorta di cipria che gli uccellini hanno nel piumaggio. Sono io a portarle con me quando ritorno dalle visite agli uccelli, e per quanto mi spogli e mi faccia la doccia ad ogni viaggio a quanto pare non riesco a levarmele tutte di dosso, e Claudia sta sempre peggio. L’allergia non viene individuata nemmeno dall’Istituto specialistico di Siena e solo dopo estenuanti ricerche finalmente troviamo a Firenze un medico iridologo olandese che osserva da vicino gli occhi di Claudia, fa un po’ di diagnosi sullo stato generale e infine dice: “Quando c’è un’aggressione di cui non si capisce la causa, il modo per guarire consiste nel mettere il corpo in condizione di combattere: il corpo è in grado di vincere quasi ogni battaglia. Bisogna solo consentirgli di concentrarsi sul problema, e quindi evitare di affaticarlo con altri problemi come ad esempio un’alimentazione scorretta. Macrobiotica per almeno un mese, niente alcool, guarirai senza problemi.” E così è stato. In tempi brevissimi Claudia è rinata. Sono scomparse le bistecche e i fritti, abbiamo detto addio alle pastasciutte e intingoli vari, avanti con il riso integrale, verdure, legumi…
Addio anche ai pappagallini. Li sistemo in grandi gabbie, stacco dal muro e pulisco i nidi, carico tutto in macchina e vado in Maremma, dove Romano nel frattempo ha comperato casa e dove farà ripartire l’allevamento. Ha già pronta la voliera, piazziamo insieme i nidi e saluto per l’ultima volta i miei amati piccoli arcobaleni volanti che stanno già prendendo possesso della nuova casa.
Mi sono affezionato ai miei ondulati: mi si stringe il cuore ad abbandonarli anche se so che li lascio in buone mani.
Immagino sia normale affezionarsi ai propri animali, sentire il legame, quel nastro d’amore che trasmette loro il nostro affetto e che ci fa sentire il loro amore per noi… Certo con alcuni è più facile, direi con quelli che ci sono geneticamente più vicini come i cani o i gatti: ma io non sono qui per seguire solo le vie facili. Esiste anche un amore per le piante, e persino per le pietre e la terra che mi nutre e di cui a ben guardare è fatto il mio corpo, cioè lo strumento stesso che mi permette di vivere. Chissà se in questa vita mi sarà dato di diventare abbastanza sensibile da approfondire tutto questo mistero.
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