INDIAN TRAIL 39: E luce fu.
INDIAN TRAIL 39: E luce fu.
Sono temporaneamente ricco e gratificato e mi sono persino comperato una pelliccia che non indosserò mai ma che mi fa sentire una rock star.
Tempo di ritornare a casa, posare la chitarra, riabbracciare Claudia e riprendere il vero lavoro: orto, campi, vigna, animali…
E' passato del tempo e la battaglia che Hector e io e gli altri abbiamo a lungo combattuto con il potentato dell'Enel, rappresentato da un piccolo burocrate nascosto dietro pile di pratiche in un ufficio in Piazza Repubblica a Firenze, è finalmente vinta. Ci vorrà un po' di tempo per vederne i gloriosi risultati, ma ormai la vittoria è in pugno.
Appena ci vede entrare nell'ufficio l'impiegato in questione ci riconosce e fa "Ah, voi siete quelli dei formaggi..." Hector e io ci guardiamo, ci scappa da ridere. "Be', siamo quelli di Castiglioni, sì. Ma non abbiamo più le pecore, ormai non vale più la pena tenerle..." Il tizio sembra perdere interesse. E' abituato a vedersi omaggiare con formaggi e salami e forse prosciutti da altri agricoltori montani bisognosi di corrente elettrica. "Però -dice Hector- abbiamo un paio di alveari" ed estrae due barattoli di miele e li piazza sulla scrivania. I barattoli suscitano poco entusiasmo e questo sembra grave visto che da costui dipende la celerità con cui la nostra ormai antica pratica avanzerà. Ci rendiamo però conto che forse è stata la mossa giusta: il sorcio ha capito che non potrà più spremerci, visto che non produciamo più viveri con cui lubrificarlo. La scenetta è meravigliosamente iconografica, con quello che vuol farsi corrompere coi formaggi e che per prolungare l'arrivo di prebende tiene ferme le pratiche lasciando un sacco di povera gente al buio.
Hector e io non riusciamo a trattenerci dallo sghignazzare e dobbiamo andare alla finestra per cercare di camuffare l'ilarità che ci ha travolti. Pare però che abbia funzionato: l'amico allunga una mano, estrae una cartella da sotto un mucchio di altre pratiche inevase e la piazza in cima. "Ecco, contenti?". "Contentissimi, mille grazie."
Sono passati quasi cinque anni da quando abito quassù e ho avuto tutto il tempo di abituarmi a vivere senza elettricità. Certo, ci sono delle difficoltà: ma sono tutte sfide accettabili e, alimentata dalla fievole luce delle candele e delle lampade a gas, c'è una piacevole vena di romantica intimità che pervade quasi ogni attività. E poi ci si abitua al ritmo naturale delle giornate e quando viene la sera, soprattutto d'inverno, è piacevole accoccolarsi accanto al fuoco e pian piano scivolare verso la notte pregustando il tepore delle lenzuola riscaldate dalle braci dello scaldino.
Quando infine arrivano i formidabili camion capaci di percorrere zone impervie per piantare alti pali cementati e stendere cavi, il momento è magico. E quando nella grande cucina si accende la prima lampadina, sembra di assistere a un miracolo.
E luce fu.
Luce, ma non telefono: e il telefono sembra essere un elemento essenziale nella vita di chi è sotto contratto con una casa discografica. Ennio -ormai con Melis siamo in termini amichevoli come usa fra dirigenti e artisti-, non si capacita del fatto che per raggiungermi deve spedire telegrammi. E si adombra quando gli spiego che i telegrammi si fermano all’ufficio postale e che io mi accorgo di loro solo quando scendo in paese, cioè ogni tre o quattro giorni. E’ una cosa inaudita, nel mondo dello spettacolo: pare che di solito chi bazzica nell’ambiente si dia da fare per essere onnipresente, reperibilissimo, sempre all’erta qualora si aprisse una finestrella di opportunità di presenza in televisione o altro. Anzi, i personaggi in orbita intorno al centro del potere si affrettano e si industriano a telefonare spesso in sede, per non essere dimenticati o per raccomandarsi o fare pressioni ti su questo o quel funzionario… Penoso. Non fa per me.
“Scudo, bisogna che ti trasferisca a Roma. Non possiamo comunicare per telegramma… Dovevi essere qui ieri pomeriggio, al Cenacolo, e ti sento appena oggi: ma ti rendi conto?” Chi mi parla attraverso una cornetta nella cabina telefonica del bar di Franco, in paese, è Ennio che è una specie di divinità in terra musicale. Sono riuscito a parlargli dopo due o tre tentativi perché la cabina di Franco è una delle poche in paese e c’è quasi sempre una fila di avventori in attesa del proprio turno e quando finalmente tocca a me devo parlare con segretarie e tirapiedi prima di sentirmi dire “E’ in riunione” oppure ”Chiami fra mezz’ora, dovrebbe essere ritornato.”
“Ennio, lo so, certo che capisco, ma devo badare al podere. Non posso trasferirmi, e ad essere sincero non ne ho nessuna voglia.”
“Vabbe’, vedremo. Magari vengo io da te a cacciare il cinghiale. Senti, almeno il giovedì devi venire al Cenacolo: devono vederti, devi incontrare Rosadini, Paolo Conte… Non te ne puoi stare su un altro pianeta, qui le cose frullano, dài Scudo, fa il bravo!”
“Giovedì a che ora?”
“A pranzo, sulla Nomentana”.
I pranzi al Cenacolo vengono serviti verso le tre del pomeriggio. Ci sono un sacco di funzionari Rca, ma non Ennio, e non pochi musicisti. Si suppone che si venga a creare una sorta di ‘melting pot’ dove idee geniali possano scaturire grazie allo stimolante substrato creativo generato da questo peraltro improbabile fidanzamento. Mi sento come un pesce fuor d’acqua. Bevono tutti parecchio, spilluzzicano ottimi tramezzini e scambiano pettegolezzi… Ci sono alcuni personaggi interessanti, Rino Gaetano che sta avendo i suoi primi successi, Mogol che è una specie di leggenda: se vivessi a Roma e potessi sopportare tutto questo teatrino magari mi adatterei a frequentare pure il Cenacolo, ma mi accorgo che in realtà non appartengo a questo mondo e che la mia vita non è qui. Bisognerà che il Cenacolo vada avanti senza di me mentre io mi limiterò a scrivere canzoni e possibilmente a pubblicarle.
La mia filosofia in materia può essere sintetizzata così: io compongo le musiche, scrivo le liriche, suono il pezzo e canto la canzone. E' compito della casa discografica vendere i dischi. Se no, che ci stanno a fare? Mi sembra semplice e corretto eppure, guarda un po’, le cose non funzionano proprio così.
Da quel che intuisco ci si aspetta che sia io a tempestare di telefonate il promoter, che è un free-lancer esterno scelto ed incaricato dalla Rca di promuovere il mio lavoro, per sollecitarlo ad impegnarsi con conduttori radiofonici, presentatori televisivi e negozi di dischi e insomma indurlo a fare il suo mestiere: ma è una cosa che non farò mai, sia per carattere che per oggettive difficoltà logistiche. Figuriamoci se vado a intasare la cabina telefonica del bar Franco per tentare di raggiungere un ignavo promoter. Andrò ogni tanto a Roma per far contento Ennio Melis, ma al promoter dovranno pensarci loro.
Il disco nel frattempo è uscito, il fotografo Enrico Alba è stato spedito fin quassù ed ha scattato le foto di copertina: in quella sul retro si vede in lontananza la strada provinciale ancora sterrata e il campo dove in genere stanno le capre che per l’occasione si sono defilate, e di lato ci sono i vari crediti che citano i musicisti che hanno collaborato: Francesco, Lilli Greco, Scotti, Visentin. Sul fronte ci sono io baffuto accanto a una finestra corredata di pianticelle e qualche ragnatela.
Ebbene, considero concluso vittoriosamente questo capitolo e se ci saranno degli sviluppi staremo a vedere. Per il momento mi dedico ad altro: il progetto di Claudia.
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