INDIAN TRAIL 34. Cambiamenti.
INDIAN TRAIL 34: Cambiamenti.
Le attività si succedono e a volte tendono ad accavallarsi e ciascuna sembra richiedere tutta l'attenzione e la dedizione disponibili. Comincio a capire che tutto andrà a buon fine se evito di angustiarmi per il poco tempo a disposizione in relazione alla matassa di cose da fare. Certo, l'impegno è onnipervadente eppure sono rassicurato dalla certezza che ogni cosa può esser fatta se le lascio il tempo di maturare: in altre parole, sto imparando a rilassarmi sotto pressione.
Le pecore sono ormai state vendute e la comune dà segnali di disgregamento sempre più chiari: alcuni membri storici se ne sono andati mentre qualcun altro è arrivato e si è fermato per qualche tempo, ma non mi pare che si possa ricreare la coesione di una volta. Rimangono ancora saldi Hector e l'Anna, ma chissà quanto possono reggere.
Fra i nuovi arrivati c'è una bella ragazza, Claudia, che ogni tanto risale la collina per venire a trovarmi. È molto carina, allegra e vivace ed è un'artista. Si dà da fare tutt'attorno fra orto e giardino e ben presto si rende indispensabile: dopo un po' con mia grande gioia decide di trasferirsi a vivere quassù. È una cosa fantastica e fra l'altro succede proprio nel periodo in cui Maria, la mia socia, e Nuzzi stanno decidendo indipendentemente l'una dall'altro di lanciarsi in avventure personali destinate a portarli altrove: Maria si è fidanzata con un bellissimo tipo che da un po' è ospite alla comune, e Nuzzi si è a sua volta fidanzato con una gran bella figliola milanese, anche lei parte di un piccolo gruppo di amici che convivono in quel di Greve, nel Chianti.
In assenza delle pecore non devo più mungere nè fare il formaggio e anche il remunerativo ma laborioso rapporto con l'albergo di Montecatini si è dissolto: lanciata la cucina dietetico-biologica del suo ristorante e conquistatosi il favore della clientela con i nostri polli e sott'oli, l'elegante direttore ha pensato bene di ridurre le spese e di procurarsi materie prime forse meno genuinamente rustiche ma più agevoli da ottenere. In fondo i suoi sguatteri dovevano spennarsi tutti i nostri polli, visto che io li consegnavo puliti ma ancora piumati.
Ho avuto modo di riesaminare un po' di vecchie canzoni e ne ho scritte alcune nuove: mi sembra di aver fatto un buon lavoro e le mie mani sono rimaste agili e creative nonostante le mungiture e le raccolte d'olive. Posso ancora suonare abbastanza bene e mi pare di non aver perso il tocco sulle corde. Penso che sia tempo di provare a pubblicare.
Pubblicare musica non è una faccenda tanto facile: le case discografiche sono virtualmente irraggiungibili, i loro direttori artistici sono delle specie di divinità protette da schiere di segretari e galoppini: fra l'altro non possiedo un telefono nè ho tempo o voglia di fare anticamere e corteggiamenti in quel di Roma o Milano, che sono i centri della scena musicale italiana.
Ma ho un asso nella manica.
Ai tempi del Folkstudio dopo essermi conquistato il palco ed aver suonato per svariate serate mi sono accorto che nella minuscola platea, come ho già accennato, c'era ogni tanto un ragazzo, un bel tipo alto e quasi biondo di nome Francesco. Fratello del mio grande amico Luigi, frequentava il Folkstudio come spettatore e considerando retrospettivamente la sua successiva evoluzione penso che abbia tratto ispirazione e coraggio dall'ambiente e, perchè no, forse anche un po' dal cantautore triestino.
Quando un paio di anni dopo Ennio Melis, allora direttore artistico della Rca, ebbe la brillante idea di mandare i suoi scopritori di talenti fino al Folkstudio per vedere se c'era materiale interessante -e io nel frattempo me ne ero andato in giro per il mondo- si vide ben ripagato dal trovare Francesco e alcuni altri che si esibivano e che rappresentavano un'interessante novità nel campo della canzone italiana: i cantautori.
La carriera di Francesco fu fulminante. L'eleganza dello stile, la sua poetica e la magica orecchiabilità delle sue arie si meritarono il successo che seguì. Da quel che ho sentito raccontare e penso sia vero, una sera dopo aver suonato a Spoleto durante il Festival dei Due Mondi rientrando in albergo si è trovato un bel po' di giornalisti ad aspettarlo: a sua insaputa il vinile appena inciso alla Rca aveva venduto in una settimana qualche migliaio di copie, bruciando record e superando ogni aspettativa. Quello fu l'inizio di un felice percorso che sia pure con qualche inciampo proseguì e tutt'ora prosegue.
La cabina telefonica del Bar Franco in paese mi consente di chiamare Luigi, che pur non sentendomi da molto tempo è sempre fraternamente amichevole.
"Luigi, sono Scudo. Ti ricordi?"
"Eccome no, mamma mia, dove sei?"
"Sulle colline toscane, ho comperato una casa e ci sto lavorando.."
"Ma senti senti... tutto bene? Tutto a posto?"
"Tutto ok. Senti Luigi, ho un po' di canzoni che vorrei far sentire a Francesco. Non voglio rompergli le scatole ma mi farebbe piacere che le sentisse e mi dicesse cosa ne pensa".
Francesco è una star e io non sono tipo da cercare di intrufolarmi: preferisco che sia Luigi, se disposto a farlo, a mandare la cassetta. Così se non piace almeno nessuno si imbarazza.
"Certo Scudo, mandamela che glie la faccio avere. Poi magari ti chiama lui."
"Non mi può chiamare, non ho telefono... Ti richiamo io fra qualche giorno, va bene?"
"Bene. Spediscimela, dammi un po' di tempo per fargliela avere e poi ci sentiamo. Che bello sentirti! Aò, ci vediamo eh!"
Mi dà l'indirizzo, io sono pronto col pacchetto e vado lesto a spedirlo.
Passa una settimana e richiamo Luigi, questa volta dalla cabina della bottega di Renato alla Noceta. Qui non c'è fila e la privacy è completa. Renato affetta a mano il prosciutto per l'unico avventore presente e lo fa con una maestria che produce fette così sottili da essere trasparenti.
"Ciao Luigi! Come andiamo?"
"Ciao. Dice Francesco che devi venire subito a Roma. Ti dò il suo numero, chiamalo che vi mettete d'accordo."
"Ossignor! Grazie Luigi. Ora lo chiamo".
Sono agitatissimo. Evidentemente le canzoni sono piaciute e sono nelle mani di uno dei musicisti più noti del Paese, che vuole vedermi. Mamma mia!
"Pronto, Francesco?"
"Sì. Chi sei?"
"Ciao, sono Scudo: forse ti ricordi. Luigi ti ha dato una mia cassetta..."
"Certo che mi ricordo! Folkstudio 1967. Sembra ieri..."
"Be', son passati solo dieci anni, siamo ancora giovani e gagliardi!"
"Senti Scudo: belle canzoni. Soprattutto alcune, ma vanno tutte bene. Puoi venire a Roma?"
"Certo. Sistemo le capre e mi organizzo. Quanto dovrei fermarmi?"
"Vieni qui da me, chiacchieriamo un po', riascoltiamo i pezzi...due o tre giorni. Ce la fai? Mi dice Luigi che stai in campagna..."
"Sì, in Toscana. Sto in un posto un po' isolato, ma posso sistemare le cose e star via un po' di tempo."
"Scudo, se le cose vanno come penso poi dovrai organizzarti per bene..."
"Ok. Si può fare. Grazie Francesco. Dammi l'indirizzo e ci vediamo..."
Siamo d'accordo. La prossima settimana vado a Roma, speriamo bene, speriamo che le Muse mi accompagnino.
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