INDIAN TRAIL 32: Business is business.

 INDIAN TRAIL 32: Business is business.

Fra Maria e Nuzzi si riaccende un'antica scintilla che era rimasta sopita per anni, dai tempi del liceo, ma che adesso, galeotto fu il libro e chi lo scrisse, o meglio galeotta fu la casa e chi la restaurò, si è riaccesa. Fra i due si crea una sinergia che si manifesta in un'idea che a me pare alquanto balzana, ma che a loro sembra davvero interessante: mettere in piedi un allevamento di capponi.
Il progetto mi turba perchè implica alcuni aspetti che mi sembrano raccapriccianti. Si tratta di allevare settecento polletti, dico settecento, per poi rivenderli sperando in un lauto profitto. Io faccio già un po' di fatica a riequilibrare la questione dei quindici polli che periodicamente prendono la via di Montecatini e il numero ipotizzato con il nuovo progetto mi sembra fuori misura.
Fra l'altro ci sarà bisogno di costruire un capannone che dovrebbe sorgere su uno dei piccoli, rari e sacri terreni da semina, e di avere a che fare per lunghi mesi con una marea di pennuti che ad un certo punto dovranno pure subire un'operazione assai sgradevole.
Ci riuniamo, Maria, Nuzzi ed io. Maria ed io siamo proprietari del podere, Nuzzi ha rinunciato a subentrare a Berto nella società. Berto nel frattempo si è dileguato: non riesce a stare al passo con i cambiamenti psico-emotivi della nuova generazione ed ha preferito andarsene. Ma siamo democratici: i voti dei proprietari non contano più dei voti degli ospiti. Io voto contro. Maria e Nuzzi votano pro. Il progetto capponi avrà luogo.
Il cappone non nasce tale. E' un normale pulcino maschio che saltella e balzella qua e là fino a circa due mesi di età, quando avendo messo su un po' di penne e di carne pesa circa un chilo. Lo spazio a disposizione nel frattempo si è ridotto, per le accresciute dimensioni degli animalini.
Arrivano due specialisti: camice bianco, semplice attrezzatura chirurgica, secchio. Ogni polletto va acchiappato, gli va aperta la pancia, raggiunti i testicoli, estratti, richiuso il peritoneo con due punti chirurgici, richiuso l'addome con altri due punti: un vero e proprio intervento. Ciao, avanti il prossimo. Il secchio si riempie.
L'operazione implica una mortalità del sei, sette per cento, oltre al costo degli specialisti. Come dire, da settecento ne rimangono seicentocinquanta.
Il pollo da capponare, in questo caso è il pollo Ranger, che come gran parte dei polli di questa parte del pianeta è prodotto in Israele, o con brevetti istraeliani. E' vaccinato per resistere alle malattie per tre mesi, cioè il normale tempo che un pollo ci mette ad arrivare all'abituale peso giusto per la tavola. Ma il cappone deve campare al minimo sei mesi per raggiungere un peso molto, ma molto superiore. Quindi ecco comparire malattie che non ti aspetteresti. Metti perciò pure in conto un altro cinque o sei per cento di defunti. I polli poi non sono famosi per la loro intelligenza e se accade qualcosa di inaspettato o apparentemente minaccioso si accalcano in un angolino per proteggersi, senza badare alle conseguenze. Infatti quando un giorno arrivo con il motocoltivatore e dieci quintali di mangime, il rumore del motore li terrorizza e loro si ammucchiano fra muro e recinzione col risultato di lasciare una ventina di vittime soffocate sul terreno. Ne segue un grande party con tutto il vicinato: ma è un altro colpo al business.
Ci sono altre tediose variabili in questo affare, per esempio il dettaglio che il cappone si vende bene solo sotto Natale quando il mercato è in genere già saturo e che in seguito diventa complicato vendere animali così grossi. Bisogna darsi da fare, andare ai mercati all'alba, abbassare il prezzo... Alla fine i soci si rifanno delle spese ed il business viene per fortuna abbandonato.
Non posso tuttavia ignorare il fatto che questa storia mi ha lasciato un retrogusto amaro e che mi ci vorrà del tempo per poter contemplare serenamente tutta la questione.
Sono costantemente impegnato nel compito di rimettere in sesto il podere e dunque sono quasi sempre immerso nell'agire, oltre che nello studio dei sacri testi dell'agricoltura e dell'allevamento, argomenti nei quali sono ancora alle prime armi.
Rifletto sul fatto che una delle forze che spesso utilizzo per indurmi all'azione è quella dell'ideologia. Vedo che è utile come motore di spinta, ma mi accorgo che è uno strumento e non una divinità assoluta. Comprendo che è indispensabile per certi progetti, ma proprio come un martello è necessario se voglio piantare un chiodo e quando invece voglio avvitare bisogna lo lasci e prenda il cacciavite, per lo stesso motivo, quando ha esaurito il suo ruolo, devo lasciare l'ideologia sullo scaffale e usare altri strumenti. Tende però ad appiccicarsi, come se resistesse alla messa in disparte e diventatasse un riferimento identitario a cui è difficile rinunciare.
Funziona come sprone categorico, ma per fortuna sono abbastanza sveglio da capire che non può durare in eterno perché se applicato a tappeto mi renderebbe schiavo. L'ideologia nasce da un'idea che tende a trasmutarsi in ideale che se non si sta attenti diventa fanatismo, ovvero fonte di schiavitù.
Sono venuto quassù per meglio comprendere il concetto di libertà, che mi pare sorella della flessibilità democratica, perciò, anche se i miei soci hanno sacrificato un seminativo, evirato centinaia di innocenti polletti e scatenato chissà quali turbative karmiche, chi sono io per giudicare?
Così ragionando mi tranquillizzo e mi rassicuro e infine mi sovviene che tutto quello che succede in fondo fa parte di un disegno più ampio anche se non immediatamente percepibile.
Oltre all'esperienza, in questo caso rimangono un recinto, un capannone ed una montagna di fertilizzante naturale. Vedremo di farne buon uso.
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