INDIAN TRAIL 30: Incontro con il diavolo.

 Incontro con il diavolo.

Il piano terra della casa è ancora tutto da restaurare ed è suddiviso in varie stalle la più ampia delle quali ospita le quarantacinque pecore della comune. A quanto pare l'ostracismo che mi ha colpito non è condiviso dagli ovini che anzi sembrano ben felici della nuova sistemazione. L'accordo è che io mungo le pecore la mattina e poi Benedetto o Hector vengono a portarle al pascolo: io non posso sospendere i lavori di restauro e sono occupatissimo con l'orto, i cui segreti sto pian piano imparando, e altri progetti come l'impianto della vigna, la ricerca e il recupero degli olivi sparsi per tutto il podere e le mille altre faccende che via via fanno capolino reclamando attenzione.
In un'altra stalletta abitano le tre capre, Bionda Brunetta e Grigetta, che ho comperato intuendo che le pecore prima o poi dovranno sparire dal nostro orizzonte visto che la comune comincia a dare segnali di disfacimento e nessuno più vuol fare il pastore.
Subito sotto la mia stanzetta abitano Petunia e Rubirosa, le due scrofette che grufolano contente nel recinto che si apre proprio sotto la finestra azzurra. Sono giovani e vivaci e ogni mattina e sera si pappano grandi quantità di crusca e farinaccio e avanzi di ogni genere. Non è affatto vero che siano animali sporchi, al contrario. Fanno i loro bisogni sempre nello stesso angolino e si rotolano nel terriccio per lavarsi e liberarsi di insetti ed altri parassiti. Amano essere grattate sulla testa, si fanno dare gran pacche sulle groppe e danno chiari segni di amicizia.
Un bel giorno decido che Petunia e Rubirosa meritano una giornata di libera uscita: ci sono ghiande dappertutto, deliziose ghiande di roverella (la roverella le fa piccole e dolci mentre quelle del cerro sono amare e meno gradite, ma qui è pieno di entrambi) e penso che per loro sia una festa.
Apro il cancelletto e le vedo un po' perplesse, così le invito ad uscire. Si sogguardano indecise e poi schizzano come fulmini, una a nord e l'altra a sud galoppando con quei culoni saltellanti e scomparendo dalla vista. Rimango di sale, pensavo che sarebbero andate a passeggio con elegante incedere per poi fermarsi sotto la Grande Quercia a gioire delle ghiande che ricoprono il terreno.
Be', non vanno lontano. Dopo una cinquantina di metri le trovo sdraiate a terra ansimanti e devo grattare le rispettive pance e testone per far loro capire che va tutto bene, che possono rialzarsi e lemmi lemmi ritornare a casetta. Raccolgo un po' di ghiande per farle felici.
Le tre capre, se voglio che un giorno producano i capretti e quindi il latte, vanno presentate al becco, cioè il caprone maschio che si incarica di occuparsi della bisogna. Codesto caprone maschio non fa al momento parte del nostro parco animali: è un essere che puzza in maniera invereconda (l'odore si è meritato un nome: ircino) e pur essendo un animale splendido e di indole molto più tranquilla del suo collega montone, la sua presenza si rende necessaria solo una volta all'anno, per cui avendo poche capre è meglio soprassedere e lasciare che il caprone lo tenga qualcun altro.
Lego la Bionda con una cordicella fissata alle corna sapendo che le altre due seguiranno e mi avvìo giù per il prato sotto casa fino alla strada principale. Le capre non sono mai andate così lontano e quindi è un'avventura per tutta la cordata.
Ci inerpichiamo sull'altro versante della valle lungo un sentierino che serpeggia fra le selve di castagno su per un impluvio che attraversa un ruscelletto dove le capre si dissetano. Stiamo cercando di raggiungere un antico insediamento, ormai diruto da tempo, detto Ca' dei Frati. Stiamo camminando da un paio d'ore e finalmente ci arriviamo. Sono quattro o cinque casette semidiroccate con qualche raro tetto ancora visibile. I frati, se mai ci sono stati, hanno avuto vita grama quassù: molta meditazione, molte preghiere ma poco pane.
Da una delle case esce un uomo che mi fa: " E alora? Quante sono?"
"Tre - gli dico dopo averle ben contate- tre capre gagliarde!" Non batte ciglio. Acchiappa la corda della Bionda, la slega e le da una pacca sul posteriore. Tutto intorno, per centinaia di ettari di boschi e sterpaglie, ginestreti e rovai fin sul crinale il mondo sembra essere allo stato primordiale, senza sentieri nè strade nè campi... Le mie caprette vengono incoraggiate a spintoni ad addentrarsi nella giungla, e lì spariscono inghiottite dall'ignoto.
"Artorna fra un mese, che ce pensa lui."
Immagino che "lui" sia il caprone che prenderà sotto la sua ala protettiva le mie amate capre. Fra un mese saranno incinte, e pronte a ritornare a casa. Anzi, ad artornarci.
Il mese è passato. Cordicella in tasca mi arrampico su per la collina verso Ca' dei Frati dove arrivo stanco ma fiducioso.
L'omino esce dalla casa, come se mi stesse aspettando.
"Ah, éccote qua! Quante erano?"
"Tre sono, tre capre"
"Be' fa quindicimila lire, e ringrazia dio."
"Bene bene -gli allungo i soldi-. 'Ndo stanno?"
"Vai vai, stanno lassù. Vai a ripigliarle."
Pensavo di trovare Bionda e le altre giù alle casette già pronte ad andare, ma non è così. Vado su per la montagna per una mezz’ora nel bosco senza aver idea se la pista sua giusta.
All’improvviso sento un fruscìo, uno schianto secco ed ecco fra le frasche apparire il maschio caprone. Per poco non mi prende un colpo: il capro sta un po’ più in alto di me e mi occhieggia ostile. E’ enorme, completamente nero, peloso e barbuto, con due corna ritorte vaste e minacciose. Sembra l’immagine perfetta di satanasso. Occhi nerissimi e lucidi, spalle possenti, pelo scintillante: insieme alle zaffate di ircino arriva chiaro il messaggio: “Questo bosco, e tutto ciò che contiene, capre comprese, è mio. Tu solo prova a fare un passo falso, tipo cercare di portare via una delle mie capre, e ti faccio assaggiare queste corna, non so se le hai notate.” In effetti, non solo le ho notate, ma mi incutono pure un notevole disagio. Intravvedo le mie due bellezze alle sue spalle, lui se ne accorge e si avvicina caracollando giù per il greppo che ci separa. La sua fronte coronata dietro la quale forse non alberga una profonda intelligenza ma certamente un'incrollabile determinazione sta all’altezza del mio petto. Il diavolo è almeno due volte più grande delle capre. Non può pesare meno di un quintale, un quintale di fibre muscolari e tendini scattanti innestate su quattro gambe motrici con zoccoletti prensili: ed in cima a tutto ciò una testa che nei tempi andati veniva usata per abbattere i portoni chiodati dei castelli. Ho molta voglia di rendere omaggio alla sua maestà diabolica e di regalargli le mie capre, ma decido invece di aggirarlo e con la mia striminzita cordicella in mano e cercando di essere o almeno apparire il più naturale possibile gli passo accanto mormorando frasi carezzevoli. Non so se l'amico sia lento a reagire, o se stia fermo ad ascoltare le idiozie che gli propino per distrarlo mentre con mano tremebonda lego la Bionda per le corna e mi avvio giù per il bosco. La voce umana quando è pacata attrae un po’ gli animali che in parte ne amano il suono carezzevole e la varietà di toni ed in parte cercano di capire le intenzioni cogliendo le sfumature… In altre parole, si ipnotizzano un pochino. Ipnotizzato o no, il becco mi segue da vicinissimo con quel passo dinoccolato aduso alle asperità del terreno. Spero che non inciampi perché mi sfiora continuamente le terga con le corna e ogni tanto solleva il muso per sospingermi, tanto per farmi capire che se volesse mi manderebbe sulla luna, ma che tutto sommato può capire il mio amore per le mie capre, e in fondo lui ne ha tante altre… Nonostante quell’aria demoniaca deve avere un buon carattere. Immagino abbia preso da sua madre...
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