INDIAN TRAIL 24: Ostracismo.

 INDIAN TRAIL 24: Ostracismo.

Giù alla comune ci sarebbe un motocoltivatore con carrello che mi faciliterebbe i trasporti, ma nel frattempo si è creato un ostacolo. Quando ho comunicato la decisione di comperare I Meli sembravano tutti felici e contenti, il vino scorreva a fiumi e Maria e Berto erano ormai stati accettati come parte della famiglia. A me sembrava ovvio che appena perfezionato l'acquisto mi sarei trasferito nella nuova casa. Ma le cose non sono mai così semplici: Anna sembra aver preso il mio trasferimento come un affronto personale, un illecito abbandono del nido di cui lei è la regina. Di conseguenza anche Hector e Furio hanno deciso che vado ostracizzato come transfuga traditore.
    La situazione si aggrava quando è evidente che non posso venire tutte le sere a socializzare, bere e chiacchierare e poi all'alba esser pronto a mescolare cemento. Insomma, ho abbandonato la corte e quindi sono indegno di amicizia, per cui non ho il coraggio di chiedere in prestito il motocoltivatore.
Anche il fatto che Anna, nonostante l'ostracismo, ogni tanto venga a dormire quassù nella stanzina azzurra sembra adombrare gli altri, tranne Gilberto che se ne frega e Benedetto che si disinteressa.
    Ci sarebbe una specie di accordo con Hector e Benedetto che informalmente avevano promesso di darmi una mano in qualche fase del restauro: ma questo in realtà non si verifica tranne che sporadicamente, e solo grazie a Benedetto. Per fortuna Dario è abilissimo ed instancabile ed io faccio di tutto per essere all'altezza del compito.
    Va rifatto il tetto. La copertura in lastre di pietra richiede la conoscenza di un'arte, nel riassestarle e nel ripristino di quelle incrinate, che si è perduta nel tempo: nemmeno Dario che pure è stato allievo del maestro che costruì il pinnacolo della Collegiata giù in paese ritiene sia il caso di provarci. Quindi, tegole. Salgo su per una scala a pioli, una di quelle di castagno esili e lunghe e flessibili, e arrivo al tetto quattro metri più in alto portandomi una paiolina , cioè un secchio, piena di malta che passo a Dario. Lui mi posa sulla groppa una delle lastre di pietra e io scendo reggendola con una mano mentre la scala tremola e ondeggia: voglio conservare le pietre quanto più intatte sia possibile, decorate come sono da licheni e muschi antichi. Ne farò un lastricato davanti a casa, un giorno. Intanto vado su e giù e mi fermo solo per rimpastare il cemento quando necessario. Il tetto misura centosettanta metri quadri e ci vuole una decina di giorni fra disfarlo, stendere una gettatina di cemento, posare e saldare a fiamma la carta catramata e posizionare le nuove tegole, che sono moltissime visto che ce ne vogliono una decina per ogni metro quadro e che le devo portare lassù cinque o sei alla volta salendo per la scala tremolante.
    Mi sto decisamente rinforzando e ho vinto le vertigini dei primi giorni, quando camminare sul tetto era un problema. Sto imparando a fare gli impasti di tre carriole e un sacco di cemento senza più soffrire di mal di schiena e galoppo alla fonte per prendere i secchi d'acqua. Ormai so differenziare i vari impasti, quello per le murature, quello per gli intonaci, il magrone per i massetti da pavimento: vengo persino promosso intonacatore aggiunto. Le mattonelle di cotto dei pavimenti le deve mettere Dario perchè ci vuole una precisione che ancora non possiedo: ma imparo la tecnica, come piazzare i punti fissi di riferimento, come assestare ogni mattonella a colpetti di manico di mazzuolo... Mi piace. E' come se ce l'avessi nel Dna, nel bagaglio delle conoscenze inconsce. In fondo mio nonno Nino, padre di mia madre, sapeva far di tutto, costruzioni comprese, e l'altro mio nonno, Giovanni pure lui, era un ingegnere civile. Immagino che qualche gene si sia trasferito, sia pure non per via accademica.

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