Indian Trail 17: Danni collaterali della rivoluzione.
INDIAN TRAIL 17: Danni collaterali della rivoluzione.
Benedetto ritorna da Firenze e ci consegna dei pacchi di quaderni e rubriche da rilegare. Gilberto è tutto contento: nonostante le difficoltà di movimento è abilissimo nel lavoro di rilegatura che lo fa sentire utile e indaffarato.
Ai fornelli c'è Hector, perciò ci saranno di sicuro salsicce e polenta. Una leccornia accompagnata da una crostata di susine appena colte, insomma una vera festa.
C'è un'ospite, Teresa, arrivata con Benedetto da Firenze. E' una ragazza molto carina tutta vestita di bianco con bei capelli castani ed occhi dolci. Svariati anelli le adornano le dita e si dà subito da fare per imbandire la tavola per la cena. Furio sembra interessato, le fa un sacco di domande e pian piano scopriamo che conosce Benedetto da qualche anno, cioè da quando lui viveva in una precedente comune detta la Fornace. La Fornace era stata creata da un piccolo gruppo di giovani cattolici dissidenti e molto dedicati, al punto che uno di loro era entrato in seminario per potersi affrancare dalle vessazioni degli ortodossi superiori e rendere la comunità autonoma nel dir messa.
Un triste giorno accadde che la Fornace fu visitata da un gruppo di commontisti, costoro essendo uno dei gruppuscoli rivoluzionari che fiorivano all'ombra di gruppi più organizzati e ideologicamente strutturati, come Potere Operaio o Lotta Continua. Era una situazione che ricordava per certi versi il periodo medioevale in cui l'Italia era percorsa da gruppetti di eretici, furbacchioni che approfittavano del saio per intrufolarsi in piccole comunità e vivere a sbafo. Il loro atteggiamento e la loro parola d'ordine, raccontava Benedetto, erano chiari: quel che è tuo è mio e quel che è mio è mio. In tempi brevissimi la piccola comunità di miti e devoti fedeli del tutto incapaci di opporre resistenza fu disintegrata e i componenti si dispersero in varie direzioni. Benedetto venne qui al Borgo, portando in eredità l'attività artigianale di rilegatura e una profonda esperienza di apicoltore.
Siamo di nuovo a cena e dopo aver ascoltato il resoconto della giornata fiorentina del nostro inviato, Gilberto vuole che continui il racconto himalayano. Procedo.
"Mi pare che ero rimasto a patire il freddo nella capannuccia sotto il valico. La vecchina della casetta ci dà una razione di champa porridge e per miracolo anche un raro e prezioso uovo. Siamo solo in due perchè il terzo si è gia incamminato. Il collega si chiama Brian, Brian Johnson, e ci inerpichiamo insieme su per la pietraia spazzata dal vento fino al passo. Mi sono unto le labbra con un po' di burro di yak per evitare danni. Oltre il valico il vento si calma un pochino e comincia una lunga discesa di frammenti di pietra segnata da un sentiero che si indov ina perchè le pietre sono state calpestate per secoli e secoli. A sinistra si erge la parete a picco del Daulaghiri. Penso che se sto a circa tremila metri quella parete dev'essere alta cinque chilometri. Ogni tanto si sente uno scroscio che squarcia l'aria rarefatta, e tonnellate di rocce precipitano a valle"
"Ossignor!" fa l'Anna "e se ti arrivano addosso?"
"Be', succede a qualche centinaio di metri da noi. Le distanze sono difficili da valutare. Le dimensioni sono enormi, l'aria è tersa e perfettamente limpida, tutto sembra vicino anche se in realtà è molto lontano. E poi c'ho il berretto a proteggermi."
"E quanto dura 'sta discesa? Avrete avuto fame, immagino" Gilberto è sempre interessato al benessere degli amici.
"Verso sera arriviamo ad un villaggetto che sta all'incrocio di tre vallate, Tatopani, che vuol dire Acqua Calda. Si chiama così perchè c'è una meravigliosa sorgente di acqua termale. Ci procuriamo un lettuccio nella Guest House e ceniamo insieme a parecchi altri viaggiatori: Tatopani è una sosta quasi obbligatoria per tutti i viandanti. Il clima è mite, ci sono ghiacciaie con bibite occidentali, ci si scambiano notizie e informazioni sui percorsi fatti o da fare e si mangia benissimo, riso fritto, uova, tè... Un vero paradiso fra le montagne. E poi c'è la polla d'acqua calda, che è un sogno. Te ne stai a mollo al calduccio e proprio davanti a te vedi il dente triangolare del Daulaghiri, illuminato di rosso dal tramonto."
"Mamma mia, mi hai fatto venir voglia di ritornarci..." Questa è la bella Teresa, che continua: "Io sono arrivata fino a Kathmandu ma ero con un compagno che non stava bene e sono rimasta incastrata lì per un bel po'. Non potevo abbandonarlo, sai com'è."
In effetti accade a volte che, soprattutto se non si sta attenti a quello che si beve e si mangia, si venga assaliti da malanni di varia natura. E poi, anche se non è il caso di investigare, ci sono droghe facilmente reperibili e spesso utilizzate che non sempre sono ben accette dal corpo, oltre che dalla psiche.
"Insomma, ci sei arrivato in Tibet?" fa Hector.
"No, solo fino a Jomsom. Si diceva che da lì si potevano vedere le guardie rosse al confine, ma a me non interessava. Da Jomsom qualcuno prende un aeroplanino per ritornare a Pokhara, ma io sono un tipo eroico oltre che povero perciò insieme a Brian me ne torno per la stessa strada da cui sono venuto, salvo un paio di deviazioni, e dopo una decina di giorni eccomi di nuovo a Pokhara, stanco e contento."
"Bella storia, Scudo. Grazie!" E giù un bicchiere di vino
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