INDIAN TRAIL 9: Pastore
In fondo al villaggetto verso la valle rimangono i resti di un'antica torre: mi spiegano che quello fu il primo insediamento, avvenuto verso il 1100. Adesso vi si ricoverano le pecore di Adamo, pater familiae di un nucleo di cinque o sei figli e figlie abbarbicati a questo borgo natìo e resistenti, temo obtorto collo, alle lusinghe cittadine. C'è anche la moglie, Maria, e la vecchia suocera, la Checca, che è proprietaria della casa dove vive e del terreno circostante. Una signora, insomma, anche se la si vede sgambettare tutta vestita di nero su e giù per questi greppi con sulla schiena curva grandi fardelli di fascine di quercia, preziose per il fuoco che rimane sempre acceso nel grande camino in pietra della sua cucinona. Questa cucinona parecchi anni fa ha ospitato nientemeno che la scuola: vi si tenevano due classi, una per i ragazzini ed una per i più grandi. Un'unica maestra insegnava a tutti ed era alloggiata in una delle numerose stanze del borgo, che all'epoca contava una trentina di persone. La maestra arrivava sul finire dell'estate e si fermava tutto l'inverno ad insegnare l'abc e a far di conto agli abitanti del borgo e a tutti quelli che venivano a studiare dalle sperdute case circostanti e si facevano anche un'oretta di camminata sia all'andata che al ritorno per sentieri e mulattiere in mezzo alle quercete.
Adamo è un mezzadro, ovvero occupa l'infimo posto nella gerarchia contadina. Deve tenere le pecore, che appartengono al padrone, e consegnare metà della produzione -formaggi ed agnelli, visto che la lana non la vuole più nessuno- via via che son pronti. In compenso può occupare la casa, farsi l'orto e tenere metà dei formaggi ed agnelli. Può anche prelevare la legna per l'inverno, ma non venderla. Tecnicamente sarebbe un rapporto di soccida, più che di mezzadria. Sono gli ultimi contratti di questo genere permessi dalla legge: sono troppo simili alle servitù di antica memoria, ed ormai sono vietati.
Anche noi abbiamo le pecore, un gregge di quarantacinque esemplari di pecore sarde, le più cocciute ed instancabili camminatrici che si possano immaginare.
Vengo presto inserito nella routine pastorale: il gregge va fatto pascolare, ogni giorno, mattina e pomeriggio.
All'idea di fare il pastore mi sono immaginato idilliache passeggiate e poetiche escursioni collinari i cui protagonisti avrebbero svolto i rispettivi ruoli con amore e senso artistico innati: loro belle e bianche, soffici batuffoli che si stagliano sul verde dei prati, iconografici simboli di pacifica convivenza, ed io novello pastorello dotato di flauto, bucolicamente titireggiante sotto una frondosa quercia (faggi qui non ce ne sono). Ma così non è: questi diffidenti animali non sono affatto bianchi –tranne che per brevissimi periodi dell’anno e solo se osservati da lontano- sono anzi parecchio sporchi. Inoltre manifestano una umiliante sfiducia che si concretizza in grandi fughe a dispersione ad ogni mio avvicinamento: devo essere proprio un pessimo flautista.
Ma io non sono in caccia di applausi. Cammino per un’oretta su per la collina arrancando dietro il gregge che fa di tutto per sfuggirmi, con brevissime soste a singhiozzo a brucare erbette che a mio avviso dovrebbero tenerle occupate per un bel po', e appena all'orizzonte compare un campo di lupinella (di un vicino), ecco che si precipitano al galoppo per portare distruzione nel prato di dolce leguminosa dal bel fiore violetto. Però, oltre ad avere la sfortuna di appartenere al vicino, la lupinella non deve esser brucata in grandi quantità, soprattutto quand’è bagnata di rugiada, perchè può fare molto male all’ingordo ovino. Non vi dico la battaglia per scacciarle dal campo. E non vi dico le condizioni del campo dopo che quarantacinque pecore, inseguite da un pastore imbizzarrito, lo hanno percorso in lungo e in largo. Verrebbe da chiedersi come mai non ci sia un cane pastore, ma la risposta è semplice: siamo in tre a portare le pecore al pascolo e un cane ha bisogno di ricevere i comandi -soprattutto all'inizio della carriera- da un solo padrone. Deve imparare le entrate, le uscite, i luoghi proibiti e così via, oltre ad obbedire ai comandi estemporanei che deve poter comprendere. Se ci sono diverse persone a comandare il cane non può orientarsi, come se gli si parlasse in diverse lingue. Può anche fare dei danni: le pecore vanno sempre nella direzione opposta a quella dove trotterella il cane, per evitarlo. Il cane sa che è la paura che hanno di lui a dirigerle, perciò deve saper calibrare velocità e distanze ed a volte dispensare morsettini per convincere le più caparbie. Calibrare un morsettino non dev'essere facile e se per caso esce del sangue può crearsi un problema.
Rimesse sulla retta via le pecore brucano per un paio d'ore, poi le chiudo alla meriggia, cioè a fare una pennichella in una baracca fatiscente ma bella fresca in cima al colle e me ne torno al villaggetto dove arrivo dopo una buona mezz'ora. Ora di pranzo. Si mangia una zuppa di lenticchie buonissima e si beve un gagliardo vino rosso. Poi tutti a nanna per un'oretta. Poi torno lassù sulla collina a liberare le pecorelle, le faccio pascolare per un paio d'ore e pian piano ritorniamo verso casa e stalla. Sono belle sazie, e sono abbastanza tranquille. Rientrano nella stalla senza farsi pregare. Sono stanche e hanno sete. Tutto a posto: adesso però devo mungerle.
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