INDIAN TRAIL 15: Himalaya

 INDIAN TRAIL 15: Himalaya

"E allora questo trekking verso il Tibet?" dice Hector.
"Insomma, è una storia un po' lunga. C'è abbastanza vino?"
"Basta che non ti metta a balbettare!" mi rincuora il pungente Benedetto. "Allora? Dov'eri rimasto?" dice e mi mesce un bel bicchiere. In effetti sono un po' brillo anche se ancora non balbetto.
"Pokhara. Si parte da Pokhara e si cammina verso le montagne lungo una delle antiche vie del sale, quelle che da millenni i Tibetani hanno percorso per trasportare il salgemma delle loro miniere fino alle pianure del Gange, centinaia di chilometri più a sud."
"Come mai portano il sale per tutta quella strada?"
"Be', non credo che lo portino più. Adesso portano altre merci. Ma fino a mica tanto tempo fa il sale era una merce rara e in India non lo producevano, almeno non nel nord. Era indispensabile per la conservazione dei cibi e naturalmente è fondamentale per la cucina. Ci sono sei o sette vie del sale che attraversano l'Himalaya dal Tibet al Nepal e che sono tutt'ora percorribili. Ci si transita solo a piedi, sono dei sentieri che passano da posti impossibili, strettissimi e spesso a picco su baratri pazzeschi..."
"Anche quello che hai fatto tu? O sei andato col riksciò?" Lupo cerca di essere spiritoso, ma nessuno reagisce.
"Sì. Nel trek che ho fatto io subito dopo la valle di Pokhara si comincia a salire e si attraversa una giungla piena di grosse scimmie grige. Si sta a duemila metri e si cammina fra alberi di papaya e mango, una sensazione stranissima. Si attraversano risaie senza fne, dei veri labirinti di migliaia di piccoli appezzamenti separati da argini stretti e scivolosi da percorrere a zig zag fino arrivare ai piedi delle colline su cui si inerpica il sentiero. Il sentiero in realtà è tutto una scala scolpita nella pietra, angusto e pieno di curve, e sale, sale senza fine. Sulle pendici ai due lati sono ricavate centinaia di piccole terrazze che seguono le linee curve delle colline: ci coltivano il riso e l'orzo. E' un paesaggio elegantissimo. Ogni tanto si sente un "Ho hop! Ho hop|" ed è meglio farsi velocemente da parte perchè sta arrivando a passo di corsa uno Sherpa con in groppa una gerla strapiena di ogni cosa: corre in salita su per i gradini, scalzo e con una cinghia sulla fronte per bilanciare il peso... Ne ho visto uno che portava nella gerla una ghiacciaia, bianca ed enorme."
"Ma che se ne fanno sull'Himalaya di una ghiacciaia? Non ci sono le nevi eterne e ghiacciai infiniti?"
"Be', sì, ma non dappertutto. Più avanti c'è un piccolissimo paesetto, Tatopani, Acqua Calda, dove le usano, le ghiacciaie."
"Continua, dai. Lupo, chettefrega delle ghiacciaie? Sta un po' zittino!" Benedetto si spazientisce.
"Ad un certo punto dopo un paio di giornate di su e giù per le scale infinite ci si ritrova fra le abetaie e cominciano i contrafforti rocciosi. Si sale fino ad un punto dove il sentiero è intagliato nella roccia a metà parete, a parecchie centinaia di metri in verticale a precipizio su una valle dove laggiù scorre un fiume turchese che sembra un filo di lana azzurra. Non ci sono parapetti e il camminamento è di appena un metro e mezzo nei punti più larghi. Ogni tanto si restringe pure e una gola trasversale lo interrompe ed occorre attraversare il baratro su tronchi ballerini che stanno insieme per scommessa e anche se il vuoto è largo solo pochi metri è però profondissimo, bisogna farsi parecchio coraggio per proseguire. Il sentiero continua dall'altra parte sempre scolpito nella parete, senza slarghi e spesso un po' inclinato verso il baratro. Improvvisamente senti una specie di scampanìo, devi toglierti lo zaino e appiattirti contro la roccia perchè sta arrivando una piccola carovana in senso opposto. Primo ad apparire è un Tibetano con una grossa gerla sulle spalle, ha un bastone con una campana di legno appesa all'impugnatura. Giaccone peloso, collana con perle d'argento, cappello colorato a tronco di cono con paraorecchie. "Namastè" saluta sorridente con quegli occhi stretti e vivaci. "Namastè" rispondo al saluto, sempre appiccicato alla parete. Lo segue uno yak, il bue muschiato che sembra una balla di pelo fulvo e marrone lungo fino a terra dotato di solide corna e carico fino all'inverosimile. Procede ondeggiando, mi struscia lungo la schiena, guai se avessi tenuto lo zaino. Seguono altri yak, capre, cani e bambini, tutti con il loro fardello di masserizie ed il pacchetto di legna per il fuoco. Ognuno trasporta il proprio cibo e combustibile. Altri Tibetani, uomini e donne chiudono la carovana, "Namastè" "Namastè": tutti salutano, passano e io posso finalmente respirare."
Qui ci vuole un bel bicchiere, e magari anche un rotolino di infame trinciato per riprendere fiato.
"Dico, non vorrei diventare noioso. Avvertitemi quando siete stufi, ve lo posso raccontare un'altra volta, non c'è problema."
"No, no, vai avanti!" dice Anna, e Hector annuisce. "Ci interessa. Non ne sentiamo tutti i giorni di queste storie."
"Ma... non ti fermavi mai? Dove dormivi?" chiede Gilberto.
"Ci sono delle capannucce di pietra che miracolosamente appaiono proprio quando ne hai bisogno. Sono gruppetti di due o tre, abbarbicate sulle pendici. Un filo di fumo che ti rincuora esce dai camini, e uno si sente rinascere. Ti viene sempre offerta ospitalità e per una o due rupìe ti danno una bella ciotolona di champa porridge..."
"E che diavolo è 'sto ciampaporri?" Io a Lupo lo strozzo.
"E' una poltiglia di orzo tostato mescolato con tè e con burro di yak e qualche erbetta. Buonissimo. Se hai fortuna e chiedi gentilmente può darsi che ti diano anche un uovo. Ma a te non lo darebbero mai." Eccomi vendicato.
"Ormai sei proprio in mezzo alle grandi montagne. Son passati sei o sette giorni e la stanchezza si fa sentire. E poi siamo sui tremila metri, l'aria è tersa e rarefatta e si cammina sulle pietraie di rocce cadute dalle pareti immense che affiancano l'alta valle spazzata da un vento gelido e incessante. Non ci sono più alberi e laggiù, lontano lontano, appena sotto il valico che domani bisognerà raggiungere c'è una casupola che è la meta della giornata. Su un lato della valle, imbertescato su un paio di rocce colossali, un tempio di pietra con accanto uno stupa ornato da mille bandierine colorate che danzano nel vento. La valle sta fra due delle più grandi montagne del pianeta: l'Annapurna, o Coda di Pesce, e il Dhaulagiri, la Montagna Bianca. Sono entrambe oltre gli ottomila e la parete del Daulaghiri, che è vicinissima, si alza quasi verticale per cinque chilometri. Siamo formiche in questo universo. La capannuccia dà rifugio ad altri due viandanti che stanno già coricati nei sacchi a pelo vicinissimi ad un fuocherello al centro dell'unica stanza. Dalle pareti si insinuano spifferi gelidi e senza sacco a pelo sarebbe impossibile sopravvivere. Sacco a pelo e champa porridge, of course."
"Be' ragazzi" dice Benedetto. "Io devo andare a dormire, domani mattina vado a Firenze. Se continuassimo domani?"
"Ottima idea! Andiamocene a nanna."

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