INDIAN TRAIL 14. Viaggio.
INDIAN TRAIL 14. Viaggio.
All'imbrunire siamo tutti piuttosto stanchi, tranne Lupo che al solito si è defilato evitando ogni incombenza. Non capisco se sia un vero membro della comune o un ospite temporaneo. Direi che non sono affari miei: se sta bene a loro sta bene anche a me.
Fa caldo, siamo in estate e la luce che si diffonde dalla lampada a gas è delicatamente dorata. Sulla tavola ci sono l'immancabile fiasco di rosso e svariati bicchieri oltre ad un bel pezzo di prosciutto che Hector sta affettando ed un pane da cui taglia cospicue fette che distribuisce.
"Ma è vero che sei stato in India?" chiede. Continua ad affettare. "Lì 'sto prosciutto non lo trovavi, eh?"
Qualche tempo fa, all'inizio, mi era capitato di dire che prima di arrivare da Trieste ero arrivato dall'India.
"Sì, è vero. Ci sono stato un bel po'."
"Be', dev'essere fantastico! Quanto sei stato via?"
"Circa otto mesi. Sono andato per via di terra, sia all'andata che al ritorno. Ci vuole un po' di tempo".
"Dai" fa Anna "raccontaci un po'. Noi siamo inchiodati qui da un anno e mezzo, non vediamo mai nessuno a parte 'sto disgraziato di Lupo". Lupo sogghigna. Una cattiva fama è meglio di nessuna fama.
"Certo! Da dove volete che cominci?" Il bicchiere è bello pieno, ma non per molto.
"Dicci del cibo!"
"Ma chissenefrega del cibo! Dicci delle vacche..."
"Fanculo le vacche. Hai visto l'Everest?"
Prima o dopo accontenterò tutti ma mi viene da cominciare dalle grandi montagne così come appaiono quando coprono l'intero orizzonte verso nord mentre si sta sull'Everest Point, sulle alte colline pre-himalayane del verdeggiante Nepal. Lungo la linea bianca che si staglia contro un cielo azzurrissimo si vedono le punte dell'Everest, del Daulaghiri, dell'Annapurna e di quasi tutte le cime sopra gli ottomila metri. Al di là delle bianche montagne, se si potesse volare, si vedrebbe il Tibet.
Il vino è un ottimo lubrificante e ormai sono lanciato.
"A proposito di Everest, c'è un trekking che da Kathmandu si inerpica verso le prime contrafforti e arriva fino al primo campo base. Ci vogliono una decina di giorni..."
"Ci sei andato? Sei stato lassù?" chiede Gilberto.
"No. Io ho fatto un altro trekking, quello che da Pokhara va a Jomson, al confine con il Tibet. Venti giorni."
"Ma... con chi eri?" questa è Anna un po' preoccupata.
"Ero da solo. Tutto il viaggio l'ho fatto da solo. Ti dirò, è un tipo di viaggio che secondo me è bene far da soli. E' difficile da condividere, soprattutto se si è con qualcuno a cui si tiene. Le persone cambiano, è inevitabile, e non sempre fa piacere che accada."
"Be', non è detto... in fondo tutta la vita è un po' così: la gente cambia, ci si trova, ci si lascia... Magari è un'occasione per crescere insieme"
"Certo, vero. In genere però le esperienze sono diluite nel tempo, si ha modo di adattarsi, di riconfigurarsi. Invece in un viaggio così lungo tutto si trasforma continuamente e dopo qualche tempo passato sulla strada ci si sente quasi sopraffatti dalle novità: cambia il cibo, il paesaggio, il clima, l'architettura, la gente, gli odori... E' un adeguarsi continuo a situazioni inusuali, ed ognuno ci si adatta a modo suo. Capace che trovi italiani a Kandahar che vogliono l'amatriciana..." Lo sguardo attento di Anna mi rassicura. Sembra interessata dal racconto ed a me piace far la ruota per un po'. Anche una fetta di prosciutto ed un pezzetto di formaggio annaffiati dal vinello collaborano a fornirmi l'energia per continuare.
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