INDIAN TRAIL 2 : Trieste.

INDIAN TRAIL 2 :  Trieste.

    Le mie vele si sgonfiano un po' quando per l'addensarsi di complesse vicende familiari mi ritrovo ad interrompere l'avventura musicale,  a salutare Trastevere e gli amici e colleghi e ritrasferirmi a Trieste. Ho la sensazione di star tradendo una promessa, ma ne sto onorando un'altra che coinvolge altre persone: perciò sento di potermi fidare del mio destino, e procedo senza rimpianti.

   Devo ridimensionare i miei progetti radiofonici per adattarli a misura regionale; propongo alla Rai di fare una serie di puntate con musica ed interviste a personaggi underground della zona, artisti, poeti, scrittori di poca fama. Funziona, registro una dozzina di puntate e soprattutto entro in contatto con una fauna cittadina che non conosco per nulla, per l'appunto musicisti, scenografi, artigiani... Mi viene l'idea di scrivere un musical, un'opera musicale e teatrale che coinvolga almeno una parte di questi nuovi amici, e che fra l'altro mi serva a ridare fiato alla mia vena creativa, che non mi ha mai abbandonato ma che si è assopita in reazione ai recenti avvenimenti.

   Dovendo trovare modo di creare un'entrata economica ed aiutato dalle conoscenze delle famiglie d'origine, mi organizzo ed apro uno studio-agenzia di pubblicità: in fondo so disegnare, so scrivere e posso avere qualche buona idea. E' un'attività di cui mi piace l'aspetto creativo ma di cui non apprezzo affatto la parte che obbliga ad interagire con i clienti, soprattutto quando occorre convincerli a spendere. L'aspetto più interessante è che adesso ho uno studio, sia pure un po' diroccato, in una bella casetta su tre piani nella parte vecchia della città. Ed è qui che prende forma "Happiness".


   Al piano terra c'è la saletta per la musica. che ospita gli strumenti musicali, chitarre, tastiere, microfoni,  registratori e spesso i musicisti. Sopra, al primo piano, con splendida vista sull'anfiteatro romano e proprio in faccia alla sottostante questura, ci si riunisce per le coreografie, la preparazione dei costumi, la definizione di strategie sceniche. Siamo tutti su di giri: l'idea di costruire uno spettacolo tutti insieme è una novità eccitante.

   Sono riuscito a farmi concedere dal comune l'uso dell'Auditorium, che è un teatro non molto grande ma adeguato, ed è vicinissimo e quasi gratuito. Uno scenografo del teatro Rossetti mi ha permesso di accedere alle sue soffitte alla ricerca di qualche trucco scenico, qualche idea suggestiva, e ne sono uscito con un po' di consigli e con alcuni deliziosi fiori di carta che da chiusi stanno in una mano ma che appena li lasci liberi si aprono in una grande e bellissima fioritura. Ci serviranno per una delle scene, quando il mago entrerà suscitando per l'appunto misteriose magie e sorprese inaspettate. Un' altra sorpresa sarà la cascata di coriandoli dall'alto che scenderà sugli attori vestiti di bianco danzanti nel buio, il tutto irrorato da luce Wood, detta luce nera, che rende il bianco fluorescente.

   Alle modeste spese necessarie -tessuti per i costumi, elettricità per il teatro...- provvedo io, che ho qualche risorsa.  L'accordo è semplice: se si incassa qualcosa, si divide equamente, e se non si incassa nulla arrivederci e grazie, è stato bello e nessuno ci ha rimesso.

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   Le prove durano un paio di mesi: ogni cosa va decisa, costruita, imparata, e lavoriamo quasi esclusivamente di sera, quando la gente è libera da altri impegni. Siamo tutti entusiasti, finchè ad una settimana dalla prima andata in scena mi si presentano il tastierista ed il chitarrista elettrico e senza vergogna mi dicono che loro in scena non ci vanno se non garantisco dei quattrini giornalieri a ciascuno di loro, che sono in tre col batterista.

   E' chiaro che non posso accettare, per vari motivi.

   "Ma dico, ragazzi, e gli altri? Dovrei pagare tutti? E poi è una scorrettezza schifosa..."

   Il tastierista è un tipo mellifluo, si stringe nelle spalle come se non potesse farci nulla.

   "E' un ricatto bello e buono, ve ne rendete conto?" Ovvio che se ne rendono conto, e che non glie ne importa niente. Sono incazzatissimo ed offeso, e non so cosa fare: in un musical è chiaro che i musicisti sono essenziali e per quanto io mi possa dar da fare non sono certo in grado di riempire tutto lo spettro musicale con la mia chitarrina, sia pure con quella a dodici corde.

   "Vabbe', vi ho sentito. Ci vediamo fra un paio d'ore, devo pensarci."

   C'è il rischio che vada tutto a monte, ma non posso cedere al ricatto. Una parte di me si ribella anche solo all'idea, e fra l'altro c'è una considerazione fondamentale che ogni artista conosce, in ogni campo artistico: qualsiasi vibrazione, emozione, sottigliezza energetica si manifesti in corso d'opera si fisserà nel delicato tessuto dell'opera in fieri. Esiste una dimensione invisibile, nel periodo di gestazione creativa, che viene influenzata dai più piccoli eventi quasi inavvertitamente. Questo non significa che il lavoro vada tenuto in una zona neutra, impermeabile agli accadimenti esterni: tutt'altro. Ma è necessario esserne consapevoli, e metabolizzare ed integrare senza essere travolti. Figuriamoci gli effetti di una bomba del genere!


   Non è nel mio carattere rimanere paralizzato ed inerte troppo a lungo. Rivedo i due traditori un paio d'ore più tardi, sono calmo e deciso.

   "Ci ho pensato. Andate affanculo. Non voglio più vedervi. Prendete le vostre cose e levatevi dai piedi. Stasera la stanza dev'essere libera." Rimangono assai sorpresi, probabilmente si aspettavano che capitolassi visto che da lì a pochissimo si dovrebbe andare in scena e che loro si considerano protagonisti. Ma hanno fatto i conti senza l'oste, e l'oste per quanto sia disperato non intende mollare. Dolce sapore della vendetta.

   Non so che pesci pigliare, non so nemmeno come dirlo alla truppa di amici che si son dati da fare per due mesi con tutto l'entusiasmo possibile. Ma per fortuna la vita è madre, ed è madre amorevole.


   Bussano alla porta sulla strada, scendo rapido dalle scale ed apro. C'è un tipo baffuto con un'aria un po' orientale, che lì per lì, sulla soglia, mi fa, in dialetto triestino:

   "Go sentì (ho sentito) che qua fe musica. Che metè in pie un spetacolo... Mi me ciamo Otto, Otto Davis. Sono el sasofono. Te pol interesar?"

   "Sicuro!" dico io. Sassofono? Fantastico!

Andiamo di sopra, e Otto mi racconta un po' delle sue esperienze musicali, che sono piuttosto interessanti. Suona ogni tipo di sassofono, contralto, tenore, baritono, e pure flauto -che ha una diteggiatura uguale- e clarinetto. Trieste non offre molte aperture, lui è un jazzista, e al momento si trova a non far nulla.

   Gli spiego la situazione, chiarisco l'aspetto economico, gli racconto dell'abbandono dei musicisti.

   "Te ga fato ben a mandarli in mona. bruti bastardi."

   Otto ha un piccolo gruppo con cui suona ogni tanto: batterista e bassista. Il bassista, biondo, grosso e simpatico conosce un chitarrista elettrico. Affare fatto. Suoneremo insieme, ci divertiremo e non faremo una lira.


   Facciamo cinque repliche, riceviamo applausi e riusciamo a pagare le spese di luce e degli inservienti. Siamo tutti felici, grandi abbracci, qualche nuovo amore... Ciao ciao, addio, se vedemo muli.


   Il mio studio pubblicitario che si è nel frattempo trasformato in una fucina artistica a tutto tondo,  adesso che le prove sono finite ed ognuno se ne è andato per conto suo mi sembra diverso, qualcosa è cambiato, capisco che mi sarà impossibile riprendere con il ritmo da businessman, ricominciare ad incontrare clienti e prendere sul serio le loro affannose vicende. Avverto un alito di trasformazione che viene a ricordarmi le antiche promesse, fra cui la più importante è quella che mi chiede di essere fedele a me stesso, e mi ricorda l'indispensabile lealtà verso il mio spirito.

   Mi è già successo in alcune occasioni di intuire l'approssimarsi di grandi cambiamenti nell' evolversi della mia vita, e grazie alla benevolenza della Creazione ho avuto la saggezza, o la fortuna, di lasciare che gli eventi si sviluppassero senza panico e senza bruschi interventi da parte mia. Si tratta di avere fiducia nel destino, e di sapermi abbandonare nelle braccia del fato che sa molto meglio di me che cosa sia meglio per il mio futuro, e di assecondare lo svolgersi dell'avventura leggendone e rispettandone i segnali. Seguirò dunque quella sottile linea che mi sembra essere la sola traccia visibile.

   Dicono i saggi che noi cresciamo fuori dalle situazioni, e che come gli alberi lasciano periodicamente cadere le proprie foglie così che diventino nutrimento, lo stesso facciamo noi, lasciando che le nostre esperienze cadano e diventino cibo per il nostro spirito.


   Sono trascorsi parecchi mesi, ho provato a ricostruire una esistenza borghese in ottemperanza ad un codice che la mia educazione mi ha indotto ad onorare. Il ridimensionamento dei miei programmi radiofonici da livello nazionale a quello regionale, l'astinenza dal mondo della musica, sia pure con l'intermezzo di Happiness, e la poco entusiasmante carriera di pubblicitario, che pure mi garantisce qualche soddisfazione, mi stanno lasciando perplesso sul significato di quello che sto facendo. Non riesco a mettere radici. Non riesco a crederci.

   Se la trasformazione comincia con lievi avvisaglie, ben presto sale una sorta di marea, su cui si può galleggiare solo grazie al conforto della fiducia nella bontà dell'universo, unica sicurezza in assenza di fari, di coste e punti di riferimento.


   Ebbene, se è ora di cambiare, cambiamo!



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