Timberwolf Shaka: Quando si è leggenda 1


Timberwolf Shaka:
Quando si è leggenda
(1)

Lupo dei boschi Shaka era un animale leggendario. Prima di incontrarlo, ne avevo sentito parlare in lungo e in largo come di un essere magico e possente, e sembrava che il suo campo energetico lo precedesse nell’invisibile, preparando il terreno prima della sua comparsa. Il fatto di stare sempre con i suoi due comandanti umani, Phil e Grace, in un ranch in Arizona doveva avergli conferito parte di quella autorevolezza che manifestava poi in pieno con la sua presenza.
Nel ranch di Phil e Grace c’erano tre o quattro branchi di lupi divisi nei loro vasti recinti, branco separato da branco, ogni branco organizzato come fanno i lupi: capo lupo, o lupa, e via via tutta la gerarchia. Phil era il capo dei capi, oltre che condirettore della fondazione che si occupava del recupero di lupi feriti, ed ogni tanto era suo compito entrare nei recinti, e vedersela con il capobranco locale. Entrava disarmato perché il corpo a corpo andava vinto senza trucchi se voleva ottenere rispetto. Portava diverse cicatrici, a memoria delle sue imprese, ma era ancora il capo.
Shaka in origine era un lupetto trovatello ed orfano che in qualche modo arrivò al ranch dove venne adottato ed allevato come uno di famiglia. Da grande, divenne un guardiano eccezionale assolutamente mansueto se non provocato, e non c’era modo di separarlo da Grace o da Phil. Uno dei due doveva essere sempre con lui, o lui li avrebbe cercati e trovati ovunque fossero: un lupo non abbandona il suo branco.
Ci fu una volta, dice la leggenda, che un comune amico scrittore, un indiano Cheyenne, seduto su un divano in una libreria a San Francisco aspettava il pubblico, dietro un tavolo basso e largo e coperto da un drappo fino a terra, pieno di libri che attendevano di esser firmati dall’autore.. La serata era organizzata dall’editore. Era ancora presto, la gente sarebbe arrivata fra una mezz’oretta. Entrano Grace, Phil e Shaka. Il mio amico Cheyenne, seduto in fondo alla sala è esterrefatto. Conosceva Phil, ma era la prima volta che vedeva Shaka, il grande lupo.
Tutti si stringono la mano, tranne Shaka. Con una breve strusciata contro la gamba dell’indiano il lupo si infila sotto il tavolo ed il drappo si chiude dietro di lui. Comincia ad arrivare la gente, una piccola folla che piano piano prende posto sulle seggiole, o lungo i muri per essere più vicino allo Cheyenne. L’amico scrittore comincia a parlare, è un vero incantatore, la gente è ipnotizzata e pende dalle sue labbra. Ispirato parla della Terra, delle piante, degli animali, dei lupi nella riserva del Montana dove è nato. E’ un tipo pieno di humor, ad una sua battuta tutti ridono, e lui nell’entusiasmo batte con gran fracasso la mano aperta sul tavolo. Si alza il drappo e Shaka, il lupo dei Boschi, balza fuori ed affronta, immenso, immobile ed irsuto la folla. Paralisi totale e generale. La gente non ha mai visto un colpo di magìa cosi potente ed efficace. Ecco come si creano le leggende.

Puma ed io incontrammo Shaka sulle montagne nel nord della California, dove eravamo impegnati nello studio della filosofia nativo-americana insieme alla piccola tribù di nativi che frequentavamo da qualche anno.  In quel periodo eravamo impegnati nella costruzione di una casa di presse di paglia da aggiungersi alle altre case e casette disseminate nel ranch di proprietà della tribù.
Ad ora di pranzo un bel giorno  venne annunciata l’imminente visita di Phil, Grace e del loro leggendario lupo. I tre arrivavano circondati da un alone di mistero, e Shaka ci venne descritto come un essere magico, sì, e tanto per bene, ma con qualche dettaglio caratteriale di cui era bene tener conto. Durante momenti conviviali avevamo già avuto modo di ascoltare racconti di cui Shaka era protagonista, ed altri ne avremmo sentiti in seguito, sufficienti a stabilire per lui un posto nell’inconscio mitologico. Sapevamo che non bisognava guardarlo negli occhi, che non si potevano indossare occhiali da sole perché in caso contrario lui non avrebbe potuto vedere dove guardavi ed avrebbe potuto prenderlo come una sfida. Ovviamente era inopportuno litigare con Phil, il suo alfa, cioè capo, ed ancor più sconsigliabile era alzare la vode con Grace, che considerava sua sorella. Forse c’erano altre procedure lupesche da considerare, ma già queste erano sufficienti a far serpeggiare una certa preoccupazione che cresceva con il crescere dell’attesa.
Quando il camper degli attesi ospiti imboccò l’ultima curva prima di arrivare alle case tutti noi che eravamo lì in fremente attesa ad occhi spalancati fummo invitati a levarci dai piedi ed a sparire dalla vista, onde non imbarazzare il lupo. Ognuno dovette conservare la propria curiosità per il momento in cui fosse stato invitato alla presenza del nuovo ospite.
Venne il nostro momento, e Puma ed io ci avviammo con fare indifferente lungo il sentierino che che portava al camper di Phil, dove lui e Shaka si erano piazzati, vicino alla casa nota come Tree Frog, la Rana arborea.
Eccoci in vista del camper: la belva si alza, è enorme, grigio argento, e ci viene incontro lungo lo stesso sentierino.  Non posso fare a meno di ammirarlo, ha delle spalle possenti che avanzano sorrette da zampe grosse come le mie cosce, con vampate bianche che raggiungono i piedi. La testa è molto, molto grande, e per quanto io mi sforzi di guardare altrove, di distrarre lo sguardo per non offendere la suscettibilità del grande lupo, ogni tanto devo osservarlo per forza, calamitato dalla sua presenza. Shaka si avvicina fino a sfiorarci, e senza tante cerimonie si fa largo con la testa fra la gamba mia e quella di Puma, e lì si ferma in meditazione.  E’ un piacevole e conturbante contatto, mi sento onorato dal gesto di palese simpatia, spero che perciò mi risparmierà la gamba. Oso allungare una mano, perché no, se lo fa lui … gli solletico un attimo il pelo sulla vasta testa. La testa di Shaka è appena più bassa della mia anca, è larga almeno trenta centimetri ed è ricoperta di un delicatissimo pelo, argenteo con brevi striature candide. Appena sotto la pelle posso sentire il cranio roccioso. L’intima vicinanza del lupo mi induce a ricordare qualche particolare che lo riguarda, come ad esempio il fatto che la mascella di un timber wolf è l’unica che possa rompere qualsiasi osso esistente sul continente nordamericano, femore di alce compreso. Il femore dell’alce è più grosso del mio polpaccio. Voglio essere amico di Shaka. Gli accarezzo la guancia con la coscia, ed intanto lo sbircio di soppiatto approfittando del fatto che lui non sta guardando. Il garrese è alto almeno ottanta centimetri, e credo che l’amico pesi oltre settanta chili. E’ uno splendido animale, se ne sente la forza contenuta, come se fosse costantemente pronto ad esplodere eppure troppo saggio per farlo.
Dopo qualche minuto decide che siamo brave persone, e spostando l’altrimenti insormontabile testa ci permette di entrare nel suo territorio, e ci fa passare per salutare Phil. Con Phil scambiamo qualche breve frase, poi lui si risiede, allunga una mano e lancia verso il lupo una stecca di costole di vacca, stecca che Shaka prende al volo e stritola con rumori selvaggi. Puma ed io ce ne andiamo educatamente prima che gli venga in mente il dessert.

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