Pavoni
Pavoni
Non avevo alcuna confidenza con gli animali, e l’idea
che avevo dell’animale pavone era alquanto impropria, basata essenzialmente
sulla sua coda. Sapevo che la sua immagine stilizzata ed iconografica adornava
i troni degli imperatori persiani, e che qualche bizzarro riccastro
dell’antichità adorava le lingue di pavone in salmì, ma ignoravo completamente
altri aspetti della sua personalità, quelli per così dire pertinenti alla sua
psicologia più profonda. E’ comprensibile, anche se imperdonabile, che il pavone maschio abbia qualche problema
di ordine psicologico: Lo splendore del suo piumaggio sembrerebbe
giustificare l’enfasi esagerata delle sue performaces, ma è ovvio che sotto sotto in lui è attivo un
ego alquanto infiammato. Tuttavia, siccome non è raro che la sua coda sia
bersaglio di un’indesiderata ammirazione che spesso si trasforma nel doloroso strappo delle
penne, posso capire come nel tempo l’animale abbia sviluppato un tratto maligno
nel proprio caratttere.
Il pavone che abitava intorno alla casa
della comune era un bell’esemplare di maschio bullo e tronfio, con solo qualche
penna mancante a causa di precedenti razzìe. Aveva deciso in modo del tutto
autonomo che il passaggio fra le case che dava accesso agli orti e ai campi era
territorio suo, e che spettava a lui decidere chi poteva passare e chi no, e
quando. Si appollaiava in agguato su dei
legni sporgenti dal tetto, e si avventava sui passanti ignari piantando loro le
zampe sul petto e menando un sacco di sberle con le ali. Il pavone è un po’ più
piccolo di un cigno, ma è bene ricordare che il colpo d’ala di un cigno può
rompere un braccio. L’attacco arrivava inaspettato, sembrava che capisse quando
uno era dimentico della sua presenza e si trovava a passare distratto nel suo
dominio. Ci si ritrovava terrorizzati a parare colpi sperando che quel
disadattato non ti beccasse in faccia.
Dopo tre o quattro aggressioni decisi
che dovevo reagire, onde ristabilire le debite gerarchie ed anche per liberare da
quella angoscia quotidiana il passaggio verso l’orto. Fingendo di essere sovrappensiero, ma in
realtà sogguardando per vedere da dove arrivasse l’attacco, entrai nella zona
proibita: eccoti il fulmine scintillante piombarmi addosso, pronto a riempirmi
di schiaffi. Ma questa volta, l’avevo giurato, sarebbe stata l’ultima. Lo
acchiappai in volo per il collo iridescente con la sinistra, mossa per lui inaspettata: poi gli diedi una
sfilza di ceffoni, per fargli assaggiare la sua stessa medicina. Infine lo lasciai
andare, rintronato e rieducato. Da allora in poi, con grande sollievo generale,
smise di attaccare e si limitò a fare il suo mestiere di splendido e decorativo
pavone.
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