Pappagallini: The Budgerigar Society


Budgerigar Society.

        
         Fra i vari animali che ho allevato in vita mia –intendo, allevati professionalmente, per trarci un guadagno- quelli meno usuali sono stati i pappagallini ondulati, quelli piccolini verdi o azzurri. L’idea era venuta dalle conversazioni con un amico, Romano, che gestendo da vari anni un negozio di animali mi informò del fatto che un negozio come il suo vendeva da cinque a dieci pappagallini al giorno, e che era praticamente impossibile trovarli in Italia. I poveri pennuti arrivavano per la maggior parte in aereo dal Giappone a gruppi di cinquanta o sessanta, chiusi in scatole quasi piatte dotate di reticella per respirare, con due spugnette imbevute d’acqua per non morire di sete. In viaggio potevano resistere per tre giorni, poi morivano. Ne morivano tanti, e quelli che arrivavano vivi dovevano appena essere rimessi in forma.
         Comperai da Romano sei o sette coppie di ondulati, perchè come imprenditore ero poverello e di più non me ne potevo permettere. In compenso  organizzai una bellissima e grande voliera all’interno del capannone che ospitava il trattore, e costruii i nidi, col tettuccio ispezionabile, col buchetto tondo ed il bastoncino per posarsi. Acqua, mangiatoie, trapezi e rami perché si divertissero; cicoria selvatica e foglie di cavolo per le vitamine ed ossi di seppia per affilare i beccucci. Mi iscrissi alla  Budgerigard Society di Londra, ben sapendo che gli inglesi sarebbero stati generosi con le informazioni di cui avevo grande bisogno. Il libretto mensile che mi arrivava portava sempre l’immagine del Pappagallino Ideale, perfettamente proporzionato e dallo sguardo fiero ed intelligente: un’icona cui ispirarsi.  In effetti, come scoprii in seguito, gli inglesi a forza di inseguire il sogno del pappagallino ideale sono riusciti a produrre degli ondulati grossi il doppio dei nostri, e ne sono anche piuttosto gelosi.         Cominciarono a comparire le prime uova nei miei nidi. Piccole e commoventi, queste uova rappresentavano la base di partenza di un business molto simpatico: anche in seguito, quando le mie coppie furono sessanta-settanta, bastava un’oretta la mattina e una mezz’ora la sera per accudire tutto l’allevamento. I conti erano presto fatti: una coppia fa da tre a cinque uova a nidiata, con tre-quattro neonati, e farebbe nidiate tutto l’anno: occorre levare loro i nidi se no continuano fino allo sfinimento. Diciamo che un nido produca dieci ondulati all’anno, minimo, e che il venti per cento sono spese, Con sessanta nidi potevo contare su seicento pappagallini all’anno. Il prezzo era ragionevolmente alto e nell’insieme era una buona attività. Le mamme pappagalline, ma anche i babbi, nutrono i figli nel nido direttamente dal becco, rigurgitando il cibo: nel nido le uova si schiudono ogni quattro o cinque giorni, per cui i giovani hanno dimensioni molto diverse ed anche esigenze nutrizionali diverse. La mamma. affacciandosi al nido,  nutre i più grandi per primi con il miglio quasi intero, poi via via a decrescere con il miglio sempre più tritato, fino all’ultimo piccolissimo che riceve il cosiddetto “latte di pappagallo”, miglio quasi liquido. Uno dei compiti indispensabili e delicatissimi era tirare fuori dal nido uno alla volta tutti i nidiacei (i più piccoli sono grandi come l’unghia di un pollice) per pulire loro con l’olio d’oliva i piedoni incrostati di deiezioni. I minuscoli esserini si agitavano un po’ nel palmo della mano salvo immobilizzarsi appena ne avvertivano il calore, ancora ignari del beneficio che li aspettava mentre venivano ripuliti un ditino alla volta. Dopo qualche tempo i giovinastri cominciavano a svolazzare per la voliera in bande spericolate ed avventurose, mentre mamme e babbi si occupavano di altri aspetti della vita sociale pappagallesca, oltre che di nutrire le successive nidiate. Quando ne vedevo uno particolarmente bello lo acchiappavo con la reticella e lo mettevo in un’altra voliera più piccola, dove a suo tempo si sarebbe riprodotto. Quelli normali venivano raggruppati e venduti.
         In ogni allevamento è sempre in agguato la tragedia, grande o piccola che sia. Nel micromondo pappagallesco succede a volte che un esemplare muoia sbattendo contro un vetro prima che questo venga protetto da una reticella, o per malattia…: quando ciò accade l’altro componente della coppia (che fra gli ondulati in genere dura tutta la loro vita) può impazzire, In questo caso a volte può aggredire i nidi vicini, facendone strage. Bisogna intervenire isolando l’animalino o vendendolo. Di solito, cambiando il contesto, rinsavisce.
         A questo punto urge una nota scientifica: Originario australiano, il pappagallino ondulato nativo era verde con il petto giallo e le ondicelle sulla testa nere. Poi comparve un fattore recessivo inibente la componente gialla, e nacque il pappagallino azzurro e bianco (il verde senza il giallo diventa azzurro, e il giallo senza giallo diventa bianco). Poi fece la sua comparsa il gene melanico, cioè nero, ed ecco che i giallo-verdi divennero verde oliva, verde normale e verde chiarissimo; i blu divennero quasi viola, azzurri normali e azzurro chiaro. Le ondicelle ebbero una variante cannella. Cominciarono a comparire gli arlecchini tutti pezzati e quelli a strisce, come i ciclisti di una volta. Chiaro che questi speciali valgono di più, ed è saggio conservarli come fattrici e fattori, per riprodurne le caratteristiche.    Devo dire che è stato tutto piuttosto divertente. Poi un giorno ci accorgemmo che la mia compagna era allergica ad una specie di cipria che gli ondulati hanno sul piumaggio, ed alle particelle proteiche perennemente in sospensione nella voliera, piccole sostanze che mi portavo inevitabilmente appresso. Dopo ogni visita alle voliere mi spogliavo e mi facevo la doccia, prima di entrare in casa, ma non bastava. Quando la faccenda cominciò ad aggravarsi rimase una sola soluzione: vendere tutto.  Il business finì senza rammarico –la vita in campagna mi stava insegnando ad agire senza attaccarmi troppo ai risultati- e con qualche guadagno, più l’esperienza, e, a futura memoria, conservo ancora una pagina del libriccino dove segnavo le nascite periodiche nei miei amati nidi.

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