Caterina


Caterina.

        
         Era una scimmietta alta una cinquantina di centimetri, una bertuccia di non meglio specificata provenienza. Si sapeva solo che la sua terra d’origine era da qualche parte nel Nord Africa, chissà, Marocco o Tunisia. Non so neanche come fosse arrivata ad esser membro della comune, né lei aveva manifestato alcun entusiasmo all’idea di farne parte.
Caterina si appostava in una nicchia sopra l’architrave della porta principale: entrando o uscendo di casa non c’era modo di evitarla, bisognava passarle sotto per forza. Dalla sua postazione teneva sotto controllo il viavai, con quegli occhi giallastri e spiritati, attenti e distratti a brevissimi intervalli: poi all’improvviso, quando uno meno se l’aspettava, gonfiava il pelo della testa raddoppiandone il volume ed arricciava tutta la faccia scoprendo decine di denti aguzzi e cacciando un sibilo forte e minaccioso.  Era un’orrificazione efficacissima,  e se io fossi stato molto più piccolo sarei scappato di corsa su per le scale: essendo però svariate volte più grosso di lei,  mi facevo forza e passavo. 
Dopo un po’ di  volte  decisi che non si poteva andare avanti così, tutti succubi di una piccola scimmia dal sedere glabro. Era necessario  ristabilire la gerarchia, e così, psicologicamente ben preparato, quando le ripassai sotto la volta successiva e Caterina partì con la sua pantomima orrifica io ne misi su una ancora più terribile sibilando e mostrando i denti in un’espressione corrusca e minacciosissima ed emettendo qualche suono inarticolatoe, a mio parere, belluino. Caterina, esterrefatta, si girò nella sua nicchia e mi mostrò il posteriore. Non essendo scozzese non intendeva offendermi. Intendeva arrendersi completamente.
La scimmietta aveva un dominio completo sulla tribù di cani che abitavano lì intorno. Sembrava consapevole di far parte una specie ben superiore a quella canina ed esercitava un’autorevolezza  cui i poveri cani potevano solo sottomettersi senza discussioni.  Seduta su un gradino della cappelletta sull’aia ogni tanto allungava una mano ed afferrava un cane che le passava a tiro cominciando a spulciarlo senza remissione.  Ai cani andava bene, Caterina era molto abile e le pulci sono fastidiose.  Spesso spulciava anche qualcuno di noi, fra quelli che se lo facevano fare: si piazzava sullo schienale della seggiola e sortiva velocissima i capelli, separandoli fra loro e pizzicando con agili dita pezzetti di materiali vari che sostavano sulle chiome, per mangiarseli all’istante.
  Dovetti ospitare Caterina per qualche giorno,  quando cambiai casa: i comunardi si erano presa una vacanza e, come si fa fra buoni vicini  con cani e gatti, divenne mio compito occuparmi della scimmietta. Come dicevo, fra me e Caterina non correva proprio buon sangue: niente di grave, ma una leggera inquietudine aleggiava in me ogni volta che la avvicinavo per nutrirla e pulire intorno. La scimmia è un animale un po’ particolare,  si arrampica ovunque, tocca tutto, ribalta le cose,  non conosce disciplina, è assolutamente disobbediente.  Se deve cacare, caca dovunque le capiti di farlo. Questo dettaglio da solo basterebbe a tenerla confinata, ed infatti l’avevo legata ad una catenella lunga lunga che le permetteva di saltare qua e là e di fare qualche piccolo disastro, indispensabile al suo equilibrio psichico.
La nostra relazione non migliorò durante questa convivenza, né le nostre conversazioni ebbero modo di creare un terreno di comprensione e simpatia fra di noi. Quando i nostri amici tornarono fummo entrambi felici di ritornare alle nostre abitudini onestamente separate. 
Accadde che gli umani giù alla comune un giorno si stancarono di Caterina, animale esotico ma del tutto inutile e spesso dannoso. Scoprirono che la proprietaria originale stava organizzandosi per andare in India per qualche mese, e riuscirono a convincerla a portarsela dietro. Così  Caterina andò in India, nel Rajastan. Andò a Jaipur, dove fece una immediata e fulminante carriera. Si insediò nel palazzo del rajà, invaso da torme di scimmie totalmente spudorate che infastidivano turisti e visitatori con la loro ossessiva insistenza nel reclamare cibo. Si può immaginare come centinaia di scimmie prive del senso della privacy possano far puzzare anche il più bello dei palazzi reali, soprattutto nel calore soffocante del grande deserto del Rajastan. Il training occidentale ed il caratteraccio di Caterina la misero in posizione di assoluto dominio nei confronti delle sue simili, ed in tempi brevi riuscì a scacciarle praticamente tutte ed a fare del palazzo reale il proprio esclusivo territorio. Continuava a cacare qua e là, dove capitava, ma nessuno obiettava visto che ormai era l’unica a farlo. I turisti la trovavano carina e simpatica ed i guardiani del palazzo erano felici dell’insperato e risolutivo aiuto.
Quanto a me, ero rasserenato dal fatto di sapere che, essendo l’India piuttosto lontana, forse non l’avrei più rivista


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