Blink


Blink.


Avevamo sempre pensato che un uccello rapace fosse emblema di aggressiva severità, e che quello sguardo impassibile e corrusco significasse una distanza immensa, un invalicabile ostacolo alla comunicazione fra le nostre stirpi, così diverse fra loro. Blink  ci ha fatto tuttavia cambiare idea.
Fu Luna a trovarla a terra, incapace di prendere il volo perché appena caduta dal nido. La raccolse e la portò a casa. Un pochino di carne tritata mescolata con dell’uovo, qualche briciolina di pane… chi sapeva qualcosa della dieta di un falchetto? Del fatto che fosse femmina non eravamo proprio sicuri, ma così fu deciso.
Piccola e quasi implume Blink trascorse un po’ di giorni nel contenitore da trasporto dei gatti, da cui allungava la testina per mangiare dalle mani di Puma: la gabbia stava nella stanza della musica, e lì rimase finchè costruimmo una voliera piuttosto grande con stanzina annessa dove la falchetta potesse sentirsi protetta e pian piano sviluppare confidenza con spazi più ampi, oltre che con noi.  Svariati pali e stecchi le permettevano di saltellare qua e là, e di fare piccoli svolazzi che noi osservavamo inteneriti ed orgogliosi.  Stava anche rivestendosi della livrea definitiva, grigia e marrone con sfumature bianche. Appena vedeva Puma avvicinarsi con la polpetta per colazione le volava sulla mano, e dopo aver mangiato avviava una conversazione a base di strizzate d’occhio (donde il nome) e giramenti di testa. Se piegavi la testa di lato, Blink subito ti rispecchiava, e viceversa. Non si potevano trattare argomenti molto approfonditi, ma era sufficiente per volersi bene.
Dopo un po’ di tempo, trepidanti, decidemmo che Blink –che nel frattempo avevamo scoperto essere una gheppia ed era diventata bella grande- era troppo strettamente confinata, e che era pronta a prendere il volo. Posata sulla mano di Puma, per la prima volta si ritrovò fuori dalla voliera, nell’universo senza confini dove da sempre avevano volato i suoi antenati. Sia Blink che noi eravamo alla prima esperienza del genere e ciascuno sembrava aspettare che l’iniziativa fosse presa da qualcun altro: poi Puma si decise e la lanciò più in alto che poteva, sopra la vigna: Volerà?  Cadrà come una pera?  La ritroveremo?  Blink partì come un razzo verso il cielo infinito.
Poi, dopo qualche trepidante minuto da noi trascorso strizzando gli occhi per riuscire a seguirla lungo le vie del cielo, la falchetta tornò verso di noi, e si mise a fare numerose evoluzioni proprio lì davanti, per rassicurarci dei nostri dubbi e farci vedere com’era brava. Complimenti entusiastici da parte nostra. Altri arabeschi nell’aria e poi la sua specialità, quella che distingue il volo del gheppio dagli altri falchi: lo spirito santo, cioè il rimanere immobile sospesa in mezzo al nulla.
Blink rimase libera intorno a casa, allargando il suo territorio di esplorazione e tenendosi quasi sempre in vista. Avevamo stabilito un appuntamento sopra una terrazza, due volte al giorno per darle da mangiare. Arrivava come una freccia dall’albero secco che aveva scelto come suo appoggio prediletto, a circa duecento metri da casa,  atterrava e saltellava fino da Puma, dalla cui mano si nutriva. Mai una beccata maliziosa, mai un graffio. Per circa un mese continuammo ad averla come compagna volante, a volte in quella impossibile posizione immobile che manteneva anche per parecchio tempo. Un giorno, alla solita ora della polpetta Blink arrivò tutta trafelata e volò vicinissima a Puma senza fermarsi a mangiare.  Girò, ritornò, fece tutti i suoi numeri sul suo palcoscenico celeste.
Poi sfrecciò in alto, lontano, sempre più lontano, e non la vedemmo più. Così salutano i falchi.


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