Bionda, Brunetta e il Diavolo
Bionda, Brunetta e il
Diavolo.
Quando
avevo le capre, ogni anno si poneva il problema di far loro incontrare un
maschio caprone che se ne prendesse cura e me le restituisse incinte. Esiste in
natura il famoso legame causale capretto-latte, per cui se vuoi il latte per
fare il formaggio devi anche avere il capretto, se no la capra il latte non lo
fa. Legavo la Bionda per le corna, la Brunetta avrebbe seguito fedelmente, e mi
inerpicavo per un paio d’ore verso un luogo sperduto dove un antico contadino
teneva un gregge di capre su per la collina, con tanto di becco (sarebbe il
maschio). Salutavo le mie caprette e, dopo le ultime raccomandazioni, me ne
andavo. Sarei ritornato dopo un mesetto, per riportarle a casa belle gravide.
Un bel giorno seppi che il contadino non c’era più, e che dovevo trovare un
altro maschio. Non è una faccenda tanto facile, perché il becco serve solo alla
riproduzione e per tutto il resto è inutile. Non solo: puzza che non ve lo
potete immaginare (si chiama poeticamente “sentore di ircino” quell’orrendo
fetore che lo circonda), è enorme e cocciuto ed è quasi impossibile da
trattenere se decide di andare da qualche parte. Me ne sono accorto quando,
essendocene pochi in giro, decisi di allevarne uno io, Palle d’Oro, che più
cresceva e più mi trascinava dove voleva lui, ignorando le mie proteste.
Trovai un altro contadino dotato di becco, più lontano. Misi le capre in macchina (vi risparmio le scene pietose), la stessa R4 con cui andavo alla RCA a Roma a registrare i miei dischi, e le liberai affidandole al cupo individuo che gestiva il nuovo becco, e che in effetti pur essendo quasi umano somigliava parecchio ad un caprone e ne diffondeva l’essenza odorifera a qualche metro di distanza. Il tutto si svolgeva in un bosco poco meno che introvabile. Quando tornai dopo un mese, l’oscuro personaggio mi disse “Vadi, vadi pure a riprendersele…”
Trovai un altro contadino dotato di becco, più lontano. Misi le capre in macchina (vi risparmio le scene pietose), la stessa R4 con cui andavo alla RCA a Roma a registrare i miei dischi, e le liberai affidandole al cupo individuo che gestiva il nuovo becco, e che in effetti pur essendo quasi umano somigliava parecchio ad un caprone e ne diffondeva l’essenza odorifera a qualche metro di distanza. Il tutto si svolgeva in un bosco poco meno che introvabile. Quando tornai dopo un mese, l’oscuro personaggio mi disse “Vadi, vadi pure a riprendersele…”
Ero abituato a
trovare la Bionda e la Brunetta già pronte ad andare, ma questa volta non era
così. Da solo su per la montagna, venti minuti, mezz’ora: all’improvviso un
fruscìo ed uno schianto: ecco il maschio. Sta un po’ più in alto di me, e mi
occhieggia ostile. E’ completamente nero come il carbone, peloso e barbuto, con
due corna ritorte vaste e minacciose. L’immagine perfetta di satanasso. Occhi
lucidi, spalle rigide, pelo scintillante: insieme alle zaffate di ircino arriva
chiaro il messaggio: “Questo bosco, e tutto ciò che contiene, capre
comprese, è mio. Tu solo prova a fare un passo falso, tipo cercare di portare
via una delle mie capre, e ti faccio assaggiare queste corna, non so se le hai
notate.” In effetti, non solo le ho notate, ma mi incutono pure un
notevole disagio. Intravvedo le mie due bellezze alle sue spalle, lui se ne
accorge e si avvicina caracollando giù per il greppo che ci separa. La sua
fronte, dietro la quale non sembra albergare una profonda intelligenza ma un
incrollabile determinazione, sta all’altezza del mio petto. Il diavolo è almeno
due volte più grande delle capre. Non può pesare meno di un quintale, un
quintale di fibre muscolari e tendini scattanti montate su quattro gambe
motrici con zoccoletti prensili: ed in cima a tutto ciò una testa che nei tempi
andati veniva usata per abbattere i portoni chiodati dei castelli. Ho
molta voglia di rendere omaggio alla sua maestà diabolica e di regalargli le
mie capre, ma un rigurgito di orgoglio prende il sopravvento e decido di
aggirarlo, con la mia striminzita cordicella in mano, essendo il più naturale e
‘matter of fact’ possibile. Non so se l'amico sia lento a reagire, o se stia
fermo ad ascoltare le idiozie che gli propino per distrarlo mentre con mano
tremebonda lego la Bionda per le corna e mi avvio giù per il bosco. La voce
umana interessa sempre un po’ gli animali, in parte ne amano il suono
carezzevole e la varietà di toni ed in parte cercano di capire le sfumature…in
altre parole, si ipnotizzano un pochino. Ipnotizzato o no, il becco mi segue da
vicinissimo con quel passo dinoccolato da play-boy. Spero che non inciampi,
perché mi sfiora continuamente le terga con quegli ameni cornetti, e ogni tanto
solleva il muso per spingermi, tanto per farmi capire che se volesse mi
manderebbe sulla luna, ma che tutto sommato può capire il mio amore per le mie
capre, e in fondo lui ne ha tante altre…Nonostante quell’aria demoniaca deve
avere un buon carattere. Probabilmente ha preso da sua madre...
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