Belgioiosa della Terriera
Belgioiosa della Terriera.
Ritorno da Lucca, notte fonda quasi invernale, ed i timori e
tremori che sono riuscito a tenere a bada durante i due giorni di assenza da
casa per via della fiera antiquaria lucchese –piccola fonte di necessario
reddito- ecco che si ripresentano con slancio rinnovato.
Partendo, all’alba del giorno prima, avevo avuto un
colloquio con Joy, la mia amata ed incinta femmina Airedale: una faccenda seria
in cui le raccomandavo di aspettarmi per il parto e le spiegavo che dovevo
andarmene per due giorni ma che sarei tornato in tempo, che le volevo bene e
che non doveva preoccuparsi… Joy era l’ultima superstite del mio piccolo
allevamento di Airedale Terrier: il suo nome completo era Belgioiosa della
Terriera, un animale bellissimo ed elegante, con un pedigree lungo un
chilometro ed un carattere delizioso. Adesso, incinta per la prima volta, poteva scodellare i cuccioli in qualunque
momento: sarebbe stata la prima volta sia per lei che per me, per cui ci tenevo
ad essere presente. La casetta di Joy,
quando le andava di starci, era una stanza di due metri per due con supercuccia
con rialzi per impedire che i cuccioli cascassero fuori. Fuori c’era un recinto
piuttosto grande, coperto, dove la chiudevo quando mi assentavo.
Emozionatissimo scendo dalla macchina e vado al recinto,
dove Joy, caracollando col pancione ondeggiante, mi viene incontro piano piano
e mette la testa fra le mie ginocchia. Carezze e complimenti, brava che mi hai
aspettato, e Joy torna a sdraiarsi sulla cuccia, al calduccio. Io schizzo in
casa e telefono al veterinario. Tenta di tranquillizzarmi, dice che fanno tutto
da sole; devo tenere a portata di mano una forbice e del filo per legare il
cordone ombelicare, se occorre. Sento una specie di miagolìo, volo giù e mi
infilo nella stanzina, dove vedo che Joy sta facendo uscire una salsiccetta
scura avvolta nel sacco amniotico semitrasparente: osserva indifferente il suo
primo nato, appena imbarazzata; non sa bene cosa fare, è evidente, ed invece di
leccare il piccolo e liberarlo dall’involucro, lo ignora come se non la
riguardasse per nulla. Mi preoccupo perché mi pare innaturale, codesta
indifferenza. Indugio un po’, vedo che Joy non batte ciglio ed allora acchiappo
il piccolo, rompo il sacco che lo farebbe soffocare in brevissimo tempo, lo
massaggio un po’: Joy osserva le manovre ed io posso quasi sentire i clicks che
la sua memoria ancestrale produce nel mettersi in moto. Avvicino il cucciolino
alla mia bocca, faccio finta di leccarlo con eloquenti passaggi di lingua ed
occhiate a Joy. Altri clicks. Barullo il piccino qua e là per ravvivarlo e lo metto a pancia in su. Lego il cordone e lo
taglio. Il nostro primo nato è ufficialmente indipendente, e arrancando di
dirige verso la batteria di tettine di Joy, dove, rotolando qua e là, si
aggrappa. Joy se lo tira vicino, lo lecca, lo pulisce: il file di memoria è
stato trovato ed è completo. Sta uscendo il secondo cucciolo. Joy mi guarda
come per chiedere se adesso tocca a lei fare tutto quel lavoro di placenta e
cordone, ma in breve libera il cuccioletto dal sacco materno e sfilaccia il
cordone con i denti, tagliandolo e sigillandolo. Ne scodella altri due, e
sembra già una professionista: mentre ne pulisce uno riesce a spingere un altro
verso le tettine ed a recuperare un terzo che rotola a valle. Ne mette al mondo
quattro, belli e vigorosi. La placenta se la rimangia tutta. Il lenzuolo bianco
su cui ha partorito è un po’ macchiato, ma non molto. Lo cambio, voglio che i
nuovi nati abbiano la migliore partenza possibile. Porto giù un po’ di acqua
tiepida con un pochino di latte, magari le viene sete. Accarezzo Joy e i
cucciolini, lascio una lucina accesa. Torno su a casa, spero di riuscire a
dormire. La macchina con banchetto e masserizie la scaricherò domani.
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